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«Mi aspettavo superficialità ed approssimazione ma non fino a questo punto». Paolo Mascaro, ex sindaco di Lamezia, è amareggiato. Ha appena appreso della relazione redatta dal ministro dell’Interno con le motivazioni a supporto dello scioglimento del consiglio comunale. Ragioni facilmente smontabili per l'ex primo cittadino tanto da portarlo a chiedere dalla sua pagina facebook che "la fascia torni al rappresentante del popolo".
Contestando il passaggio del documento in cui viene accusato di avere rinunciato solo nel 2016 a vestire la toga per «esponenti di massima rilevanza delle cosche e di loro sodali» spiega a LaC di avere rinunciato da subito a tutti quei casi in cui il Comune fosse stata parte lesa o si fosse costituito parte civile. «Chi difende un criminale non è un criminale, è un’offesa per tutta l’avvocatura», aggiunge.
In merito poi al caso del bene confiscato alla mafia e dato in affidamento ad una ditta definita nella relazione «pressoché inattiva perché sottoposta ad indagini per indebite percezioni di erogazioni pubbliche» e con due dei soci «gravati da pregiudizi penali ed uno di loro riconducibile ad esponenti della criminalità», Mascaro spiega di avere fatto un bando pubblico e che la cooperativa, regolarmente iscritta all’albo delle stesse, è stata l’unica a partecipare. Un bando, sottolinea l’ex sindaco, fatto dopo anni di affidamenti diretti di beni confiscati.
«Leggo riferimenti ad atti per i quali sarà immediatamente dimostrata l'assenza di qualsivoglia condizionamento ed infiltrazione, leggo erronei riferimenti a comportamenti personali che si dimostrerà essere stati limpidi, cristallini e rispettosi di innato senso di legalità». Mascaro si dice pronto a contestare l’erroneità di ogni aspetto del decreto di scioglimento e afferma che a quel punto «lo Stato, in un sussulto di rispetto delle regole democratiche, senza attendere provvedimenti giudiziari, dovrà subito ripristinare la legalità violata e ridare al popolo di Lamezia la sua rappresentanza elettiva».
Tiziana Bagnato