«La sanità calabrese non è malata. È stata tradita». Con queste parole, pronunciate a margine dell’incontro dal titolo “Quale sanità per il nostro territorio?”, si potrebbe condensare lo spirito che ha attraversato il convegno pubblico organizzato oggi pomeriggio a Reggio Calabria dal Gruppo Territoriale del Movimento 5 Stelle. Un appuntamento pensato non per celebrare, ma per denunciare. E, soprattutto, per dare voce a chi voce non ne ha più: i cittadini calabresi, i pazienti dimenticati, gli operatori sanitari esasperati.

L’iniziativa si è svolta nella Sala dei Sindaci di Palazzo San Giorgio, cuore istituzionale della città, con una platea gremita e attenta. In apertura, i saluti del sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà, seguiti dalla conduzione della dottoressa Giovanna Milena Roschetti, rappresentante del GT M5S di Reggio e medico in servizio sul territorio.

A intervenire sono stati parlamentari, medici, sindacalisti e giornalisti, in un confronto acceso, plurale e per nulla autocelebrativo. Nessuna passerella. Nessuna diplomazia. Solo parole nude e dirette, spesso segnate da esperienze personali e da una prossimità autentica con il dolore e le carenze quotidiane della sanità pubblica.

Il divario tra racconto istituzionale e vissuto quotidiano

Il primo grande nodo affrontato dal tavolo è stato quello della narrazione politica costruita attorno alla sanità calabrese, che – secondo molti degli intervenuti – non solo non corrisponde alla realtà, ma finisce per offendere l’intelligenza e la dignità dei cittadini.

«Occhiuto cerca di ricreare una realtà sulla sanità che probabilmente tutti noi calabresi vorremmo vivere, ma che non esiste», ha dichiarato Anna Laura Orrico, deputata e coordinatrice regionale del Movimento 5 Stelle, contestando duramente l’impianto comunicativo della giunta regionale.
Una narrazione fatta di autocommissariamenti, inaugurazioni, annunci – come nel caso della rinnovata collaborazione con i medici cubani – che tuttavia, nella percezione dei presenti, serve più a costruire consenso che a risolvere problemi.

Sulla stessa linea, la parlamentare Vittoria Baldino, che ha definito la situazione «una gigantesca operazione di fumo negli occhi. Ci raccontano che tutto sta andando per il verso giusto – afferma -. Ma i cittadini calabresi lo sanno: non è così. I problemi della sanità non si sono risolti, anzi si sono aggravati. E ora siamo arrivati persino al punto di vedere un commissario che commissaria sé stesso».

I toni si alzano, ma non per retorica: sono lo specchio di una frustrazione collettiva che, da anni, si alimenta di disservizi strutturali, liste d’attesa infinite, carenze croniche di personale. E della sensazione diffusa che si stia giocando con la realtà, mentre la sanità pubblica continua a sprofondare.

La questione degli “imboscati”: numeri sconvolgenti, responsabilità ignorate

Uno dei momenti più duri e significativi dell’incontro è stato l’intervento di Nuccio Azzarà, ex segretario provinciale della UIL, che ha riportato all’attenzione pubblica una delle piaghe più gravi e clamorose della sanità reggina: quella dei cosiddetti “medici imboscati”.

«Su 1200 medici in servizio attivo nell’ASP di Reggio Calabria, ben 800 erano distratti dalle loro funzioni d’istituto», ha ricordato Azzarà. «Parliamo di professionisti pagati per un incarico specialistico ospedaliero, ma assegnati ad altri compiti. Un dato che fece scalpore, ma che venne confermato anche da un’interrogazione parlamentare».

La denuncia, portata avanti insieme ad altri dirigenti sindacali, non fu indolore:
«Ci beccammo una denuncia, anche io. Ma la magistratura ci diede ragione: quella che avevamo fatto era una critica legittima e supportata dai fatti».

Il quadro delineato è inquietante: un sistema opaco, impunito, resistente a ogni tentativo di riforma, che continua a sopravvivere nonostante l’indignazione e l’evidenza. «Il governatore si prese poi il merito dell’operazione, dichiarando che “non ci sono più imboscati”. Ma la verità è che nessuno di quei medici — anestesisti, cardiologi, specialisti — è mai tornato al proprio posto. E questo, per noi cittadini, significa continuare a non avere risposte né cure adeguate».

Una vicenda simbolica, che mostra quanto radicato e intoccabile possa essere il sistema di privilegi e di complicità nella sanità calabrese.

Autonomia differenziata, la frattura definitiva: «Per la sanità pubblica sarà la tomba»

Tra i temi più discussi, e al tempo stesso meno percepiti nell’immediato dai cittadini, c’è quello dell’autonomia differenziata, che secondo molti intervenuti rischia di rappresentare la frattura definitiva tra il diritto alla salute e la sua effettiva esigibilità. In una Calabria già allo stremo, l’ipotesi di affidare alle singole Regioni la gestione autonoma di settori chiave come la sanità è letta come un colpo di grazia a un sistema già profondamente compromesso.

«Siamo già al collasso. L’autonomia differenziata potrebbe decidere per la morte del servizio sanitario nazionale pubblico», ha dichiarato Andrea Quartini, medico e deputato del Movimento 5 Stelle. «Le liste d’attesa, che oggi devastano milioni di famiglie, fanno comodo solo ai privati. Il disegno è evidente: disincentivare il pubblico, spingere verso soluzioni a pagamento e concentrare l’offerta sanitaria dove c’è ricchezza».

Un ragionamento confermato da altri ospiti, secondo cui la riforma spingerà le regioni più forti a trattenere le risorse fiscali e a utilizzarle per pagare meglio i medici, garantendo condizioni migliori di lavoro e carriera, mentre territori come la Calabria saranno condannati a non poter competere, né trattenere i propri professionisti. Il risultato, come sottolineato dal medico e scrittore Santo Gioffrè, è già sotto gli occhi di tutti: «La Calabria è la prima regione in Europa fuori dal sistema sanitario pubblico. Il 44% dei cittadini va al Nord a curarsi, un altro 33% rinuncia del tutto. Il resto si arrangia come può».

Secondo Gioffrè, a reggere l’intero impianto emergenziale sono oggi i 400 medici cubani, mentre la Regione «continua a fabbricare notizie utili solo a prendere tempo fino alle prossime elezioni». In mezzo, ci sono i cittadini, lasciati soli tra mancanza di servizi, paura e rassegnazione.

La riforma dell’autonomia, così come immaginata, viene quindi definita un pericolo strutturale, in grado di spezzare definitivamente l’universalismo della sanità e trasformarlo in un privilegio per pochi.

Medici in trincea: «Questa non è medicina, è resistenza quotidiana»

Se c’è una voce che ha saputo riportare il dibattito con i piedi per terra, quella è stata di Giovanna Milena Roschetti, medico in servizio attivo e rappresentante del Gruppo Territoriale M5S di Reggio Calabria. Con la concretezza di chi vive ogni giorno le storture del sistema, Roschetti ha offerto uno sguardo diretto e disilluso sulla situazione reale all’interno degli ospedali calabresi.

«Noi combattiamo ogni giorno con una situazione assurda, in cui i pazienti arrivano con richieste urgenti e ci sentiamo rispondere che “la gente è chiusa”. Ma cosa significa? Nessuno riesce a spiegartelo. Semplicemente, non è possibile prenotare una visita anche se il caso è grave», ha raccontato. Una condizione di invisibilità burocratica che si trasforma in disperazione, sia per chi aspetta una diagnosi, sia per i medici che cercano di offrire risposte con strumenti insufficienti.

Roschetti ha denunciato anche un’anomalia che fotografa alla perfezione lo sbilanciamento tra pubblico e privato: «In certi reparti, come la gastroenterologia, risultano 4000 interventi in regime pubblico e ben 1500 in intramoenia. Non è normale che oltre un terzo delle prestazioni venga erogato a pagamento, fuori dal circuito istituzionale. Qualcosa non torna».

Alla base, secondo la dottoressa, c’è un problema culturale e politico profondo: «La gestione sanitaria non può più essere affidata alla politica. In Calabria, le nomine dirigenziali vengono spesso fatte per criteri di appartenenza, e non per competenza. Il risultato lo viviamo ogni giorno: mancanza di personale, strutture al limite e pazienti abbandonati».

Le sue parole hanno risuonato come una denuncia lucida e sofferta, ma anche come un invito a non abbassare la guardia. Perché dietro ogni lista d’attesa, ogni visita mancata, ogni diagnosi in ritardo, non c’è un numero: c’è una persona.

«La sanità è umanità»

A intervenire durante l’incontro anche Elisa Barresi, giornalista e vicedirettrice del quotidiano online IlReggino.it, chiamata a portare il punto di vista della stampa. Un ruolo che ha rivendicato con chiarezza, sottolineando la necessità di non restare in silenzio di fronte alle distorsioni e alle ingiustizie del sistema sanitario.

«È una scelta coraggiosa avere un giornalista a questo tavolo, perché noi siamo sempre quelli scomodi, quelli senza padrini né colori politici». E ha aggiunto: «Chi lavora con me sa che non ho mai avuto un padrone, e credo di averlo dimostrato: ho dato botte a destra e a manca, quando è servito. Nuccio (Azzarà) ne sa qualcosa».

Barresi ha poi spiegato il motivo per cui ha scelto, da tempo, di occuparsi di sanità: «Per me sanità fa rima con umanità. Quando sento parlare di ostetricia, penso alla donna che è stata torturata. Quando si parla di oncologia, penso che potrei essere io domani. Non riesco a guardare ai numeri, perché non stiamo parlando di dati, ma di persone».

Da qui, il riferimento a ciò che definisce “una forma di elemosina istituzionalizzata”: «Non devo chiedere a qualcuno un favore per avere una visita che mi spetta. Se mi è stato diagnosticato un problema urgente, io ho diritto a quella prestazione. L’ho già pagata, con le tasse».

Nel suo intervento ha voluto anche dare voce a chi non può partecipare: «Parlo per le persone fragili, i disabili, i malati mentali. Per chi non ha modo di essere qui, né in piazza né in procura. A loro la sanità viene negata per primi, sistematicamente».

Infine, ha annunciato il lancio di “Chiedimi aiuto”, nuovo format sul sito IlReggino.it, pensato per raccogliere le segnalazioni che arrivano ogni giorno in redazione: «Perché i cittadini hanno bisogno di qualcuno di cui fidarsi. E se possiamo essere noi, ci prenderemo la responsabilità fino in fondo. Anche andando in procura, se serve».

Competenze, non tessere: l’alternativa politica parte dalle nomine

Accanto alla denuncia, il convegno ha lasciato spazio anche a una riflessione politica più ampia, orientata a delineare una visione alternativa della sanità calabrese e nazionale. Una sanità che sia efficiente, pubblica, accessibile, ma soprattutto libera dalla logica delle appartenenze e del clientelismo.

Al centro della critica, ancora una volta, il meccanismo delle nomine sanitarie, da decenni utilizzato come strumento di potere e spartizione, più che come leva di competenza e merito. «Non si può continuare a dare la sanità in mano alla politica», ha detto la deputata Vittoria Baldino. «Le nomine dirigenziali devono essere fatte per competenza, non per tessera di partito. Bisogna smetterla con questa gestione regionale che ha fallito su tutta la linea».

Un messaggio rilanciato anche dalla collega Anna Laura Orrico, che ha sollevato il caso degli ospedali mai completati: «Adesso Occhiuto si è addirittura commissariato da solo per accelerare la costruzione di strutture ferme da vent’anni. Ma cosa significa accelerare in questo contesto? Significa forse derogare alle regole, favorire il privato, sacrificando la trasparenza e l’interesse collettivo».

Altro tema sollevato più volte: la riforma della medicina territoriale, in particolare della medicina generale, vista come snodo cruciale per evitare l’intasamento cronico dei pronto soccorso e rendere davvero efficiente la rete ospedaliera. «Servono medici di base, non passerelle né spot. Servono progetti del PNRR che partano davvero, non solo su carta», ha osservato Baldino.

I parlamentari hanno ribadito la necessità di riportare la sanità in mano allo Stato, sottraendola ai giochi di potere locali e alle distorsioni di un federalismo che rischia di accentuare le diseguaglianze. Una proposta netta, che punta a ricostruire dalle fondamenta un sistema pubblico universale e funzionante, capace di rispondere ai bisogni reali delle persone, non alle esigenze elettorali di pochi.

«Alzare la testa, insieme»: l’invito a Cosenza per difendere diritti non negoziabili

Il convegno si è concluso con un appello alla partecipazione attiva e trasversale, lanciato dal palco con parole semplici ma dirette: la battaglia per la sanità pubblica non può essere lasciata solo alla politica. Serve il coraggio dei cittadini.

«Voglio darvi un appuntamento: sabato prossimo, 29 marzo alle 16:30, saremo tutti a Cosenza in piazza. Ma non solo come Movimento 5 Stelle», è stato il messaggio finale. «L’invito è rivolto a tutti: partiti, sindacati, associazioni, comitati, liberi cittadini. A chi vuole dire basta, alzare la testa e ricordare che il voto è mio, non me lo dovete toccare; la sanità è pubblica, non ce la dovete toccare; la scuola è pubblica, non va depredată».

Nessun tono da comizio, nessuna bandiera da sventolare. Solo un’esortazione civile alla responsabilità collettiva: «Vi prego, abbiate coraggio. Venite a Cosenza. Perché sarà solo l’inizio di una grande manifestazione che deve partire dalla Calabria. E che ci aiuti a riscoprire una cosa semplice: che solo insieme si può cambiare». Con un ultimo monito: «La politica da sola non va da nessuna parte, se non ha il pungolo dei cittadini. Di quelli che vogliono il bene dell’intera comunità, non solo del proprio orticello».