È stata offerta ieri l’ennesima plastica dimostrazione della lenta agonia dell’ultima consiliatura a guida Sergio Abramo con un’assise civica che ormai si riunisce solo quando ha qualche scadenza impellente o, al contrario, per “onor di firma”, giustificando cioè la sua durata fino al termine sancito dalla legge. Una sorta di «ci siamo e lavoriamo, pure in Consiglio e in Giunta». Mah! Sarà pure, tuttavia a Catanzaro anche le pietre sanno ormai come a Palazzo De Nobili più che ad amministrare in parecchi siano intenti a favorire la loro migliore collocazione futura. E, intanto che ci sono, a non andare a casa un giorno prima della conclusione del mandato, considerato come per molti (è un dato oggettivo e incontrovertibile) la carica ricoperta sia sinonimo di unica occupazione.

Catanzaro, la maggioranza con la testa altrove

Un elemento non certo positivo per la città che invece si dovrebbe legittimamente aspettare il massimo da quanti la rappresentano nei consessi istituzionali. Che dovrebbero essere straconcentrati sul benessere della comunità. Ma tant’è, la gente quando vota sa per chi lo fa. Inutile, dunque, lamentarsene dopo.
Al di là di tutto, però, è appunto evidente come la maggioranza dei consiglieri (ancor di più all’interno del centrodestra) abbia la testa altrove e tenda quindi a non assumersi la responsabilità di partecipare a sedute (in effetti sempre meno partecipate da mesi a questa parte) in cui sovente si approvano pratiche “complesse” che richiederebbero quantomeno un sufficiente livello di conoscenza della materia specifica e un ulteriore approfondimento, viceversa palesemente mancanti. Talvolta perfino per stessa onesta (ma preoccupante!) ammissione dei diretti interessati che ammettono di “non sapere” come nulla fosse, dichiarando in Aula - ovviamente se presenti - di volersi astenere dal pronunciarsi (caso più ricorrente quello della ciclica ingente mole dei debiti fuori bilancio).

Il Piano strutturale comunale

Senza contare temi chiave quali ad esempio il Piano strutturale comunale (Psc), di cui a Catanzaro si parla da anni e anni ma che per ora (secondo le indicazioni di Abramo) deve restare una pianificazione top secret. Tanto il refrain a chi solleva dubbi sulla gestione in ambito urbanistico, è uno da tempo immemore: «È una vita che non si ritirano tante licenze edilizie, figurarsi se ci possano essere colate di cemento». Frase a cui - aggiungeremmo noi - soprattutto in posti dove sarebbe meglio non si verificassero. Mai. Eppure non si può tacere come corrano insistenti voci relative a varie imminenti lottizzazioni, alcune in particolare in “aree strategiche” del quartiere marinaro ma non unicamente. Operazioni che - sia chiaro - se non realizzate in violazione di norme ad hoc non sono peraltro da considerare alla stregua di fatti negativi. Senza però evitare di prestare la massima attenzione a come e dove si fa costruire. Altrimenti il problema c’è. Eccome.


Ecco perché un Psc chiaro, condiviso e ben modulato, sarebbe non soltanto auspicabile bensì necessario per lo sviluppo del capoluogo. Che, a prescindere dalla realizzazione di nuovi complessi abitativi et similia, deve essere tenuto al riparo da qualunque asserita speculazione. Vi è infatti il rischio del sorgere in ogni campo, anche molto diverso da quello edile quindi, di interessi trasversali che vadano molto oltre la politica in una zona grigia dove centrosinistra e centrodestra diventano intercambiabili al cospetto di grandi affari privi di colore. Concetto che vale tanto più adesso in un periodo di grande confusione con pochi punti di riferimento e il formarsi di grumi di potere che, con la copertura di una presunta progettualità politica, mirano ad arare il terreno a un “goloso sacco della città”.

Una Catanzaro ferita e ormai ai margini. Marginalità che fa rima con subalternità. Una condizione in cui la visione di tanti aspiranti eletti non può che avere orizzonti collettivi limitati, essendo invece calibrata sul consolidamento della posizione personale. Situazione che favorisce fatalmente l’abietta pratica dell’accorduni.