Due anni e mezzo dopo Wanda Ferro è in Consiglio regionale. Giustizia è fatta verrebbe da dire, se non ci fosse voluto così tanto tempo e una lunghissima battaglia giudiziaria per raggiungere l’obiettivo. Si è dovuti arrivare alla Corte Costituzionale per riaffermare un principio sacrosanto come quello che vuole il miglior candidato governatore perdente entrare di diritto in Aula. Prerogativa che è stata negata alla vice coordinatrice regionale di Forza Italia per metà legislatura.

 

Un ingresso, il suo, che non è passato inosservato. La Ferro, nel suo intervento, è volata alto. Citando anche Sant’Agostino: «La speranza ha due bellissimi figli: la sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle».

 

Un manifesto politico che più di tante parole spiega la linea che la “pasionaria” terrà in Consiglio regionale. Come già annunciato, la Ferro si è iscritta al Gruppo Misto e si è accomodata tra i banchi dell’opposizione, sedendosi tra Mimmo Tallini e Fausto Orsomarso, che recentemente ha abbracciato la causa di Giorgia Meloni. «Dal Misto rappresento Fratelli d’Italia» in una giornata che segna anche il futuro dell’opposizione in Consiglio regionale.

 

Una fila più in giù gli uomini di Forza Italia, il capogruppo Alessandro Nicolò e il consigliere Morrone, dimissionario dal partito, ma ancora iscritto al gruppo azzurro. Ai quali, Wanda Ferro, non ha dedicato neanche un saluto nel suo discorso di insediamento, nonostante lo abbia riservato anche a qualche esponente del centrosinistra. Tanto che il capogruppo Nicolò ha sentito l’esigenza di intervenire sia per salutare l’ingresso di Wanda Ferro che per rivendicare l’azione fin qui svolta dal centrodestra: «Abbiamo fatto opposizione seria – ha detto Nicolò - con Wanda Ferro si consolida un gruppo rispetto a un determinato cammino che ha visto la maggioranza scegliersi la minoranza, ricordando la vicenda legata alla vicepresidenza di minoranza andata al Nuovo Centrodestra e a Pino Gentile». Intervento idoneo a far scattare Baldo Esposito (Ncd) che rivendicato il ruolo del proprio partito e rimandato al mittente ogni accusa di trasversalismo.

 

Ma il carico da novanta, la Ferro lo ha messo, chiedendo la verità su quanto accaduto sul finire della precedente legislatura, con l’approvazione della legge elettorale che l’ha indebitamente tenuta fuori da palazzo Campanella. «Una pagina nera della storia del regionalismo» ha detto Mimmo Tallini.

 

Ma a sentirsi chiamato in causa è stato proprio Ennio Morrone che, in qualità di capogruppo degli azzurri nel passato quinquennio, aveva partecipato anche alle riunioni ristrette sulla normativa.

 

«Ero capogruppo di Fi - ha detto Morrone - ma non abbiamo mai parlato di questa legge, non c’è stato nessun tipo di coordinamento formale. La legge è uscita dall’Aula così come era entrata. Se c’è stato un errore, è stato fatto in buona fede, credo, dal presidente del Consiglio Francesco Talarico che era anche relatore».

 

Nel ping pong di responsabilità la Ferro ha tirato poi anche il governatore Mario Oliverio. «Non ho per nulla gradito la scelta della giunta regionale di costituirsi nel processo davanti al Tar».

Abbastanza per convincere anche il governatore ad intervenire nel dibattito. «Mi preme ricordare che la legge elettorale è stata approvata nella precedente legislatura – ha detto Oliverio - ed è stata votata a maggioranza. L’opposizione, allora espressa dal Pd, a quella legge votò contro e abbandonò l'aula. Quanto al versante della costituzione di parte civile la Regione si costituisce sempre per difendere non solo la legge nel suo complesso, non la singola norma. Vorrei ricordare che fino al 23 ottobre c’è stato un can can di esponenti che hanno suonato la grancassa della incostituzionalità e dello scioglimento del Consiglio. Dunque, nessuna avversità nei confronti di Ferro che sarà un valore aggiunto per il Consiglio».

 

Riccardo Tripepi