Il governatore si abbandona a dichiarazioni surreali affermando di essere contro «i giochi di palazzo» e di chiedere maggiore unità soltanto ora perché prima non c’era l’appello del movimento anti-sovranista. Intanto il segretario del Pd rinuncia ai simboli di partito per indossare il marchio di un’azienda. E Salvini avanza senza muovere un passo
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Non è solo merito di Salvini, che, okkei, ha la Bestia che lavora per lui sui social, che okkei è in sintonia con la pancia del Paese e con i suoi movimenti intestinali e, okkei, spara cose a muzzo tipo quella delle nocciole usate per fare la Nutella. Non è solo perché è furbo che vince e si avvia tranquillamente verso il 40 per cento di consensi nonostante in agosto abbia fatto cadere il suo governo per un mojito di troppo al Papeete.
Il vero motivo per cui domina è che gli altri non valgono nemmeno una svendita sottoprezzo al Black friday. Salvini vince, e vincerà facile, perché non c’è nessuno che possa ostacolarlo, nessuno che sia capace di dire due cose in fila che non siano il solito pippone inutile. Prendiamo le Sardine. Prendiamo Zingaretti, e Oliverio.
Tonni e sardine
Cominciamo dai piccoli pesci in grandi banchi. Portano in piazza migliaia di persone ma per ora non sono capaci di esprimere un coagulo elettorale, un’aspettativa di cambiamento che vada al di là della semplice affermazione che “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, come diceva Gino Bartali. Bella scoperta. Il rischio è che facciano la fine dei girotondini, degli arancioni, del popolo dei balconi e di chiunque altro abbia tentato di dare spessore al disagio che vive il popolo di sinistra senza esprimere una leadership capace di costruire qualcosa che non sia un effimero successo mediatico.
Poi c’è il Pd, che in teoria dovrebbe essere il faro dell’anti sovranismo in salsa leghista. Nicola Zingaretti viene in Calabria per incoronare il candidato civico, Pippo Callipo, e fa tappa nella sua azienda, facendo il solito tour che Callipo ha fatto fare a tutti, a cominciare dallo stesso governatore Oliverio.
Sinceramente, combinato così, il segretario nazionale del Partito democratico non si poteva proprio vedere: tutto bardato con il camice bianco e il cappellino, entrambi con il marchio del famoso tonno sott’olio in bella vista, pronto a posare anche per la foto opportunity davanti a una grande scatoletta posticcia. No, non si poteva proprio vedere. E ha ragione Antonella Grippo, quando durante l’ultima puntata di Perfidia (LaC Tv, ogni venerdì), ha sottolineato che quell’immagine del numero uno del Nazareno vestito come un sandwich man segnava l’eclissi della politica, che rinuncia ai suoi simboli troppo compromessi e ormai poco spendibili in campagna elettorale, per vestire il marchio di un’azienda. E ha ragione (purtroppo, ahimè) il commissario della Lega, Cristian Invernizzi, quando nella stessa trasmissione ha fatto notare che Zingaretti non può pensare di venire in Calabria e fare finta che gli ultimi cinque anni di governo regionale non siano esistiti, archiviando Oliverio come se le responsabilità non siano anche del suo partito, il Pd appunto, che tutto questo ha permesso senza muovere un dito per dare ai propri elettori uno sperone di futuro a cui aggrapparsi.
Sprezzo del ridicolo
In un contesto così inquinato dal no sense, così infestato dall’ipocrisia più spregiudicata, appare del tutto normale che questa sera il governatore abbia diffuso una nota che sembra farsi beffa dell’intelligenza media, affermando che «non è troppo tardi per pervenire a una candidatura unitaria e di reale rinnovamento», e se questo obiettivo non si perseguisse sarebbe solo colpa di Zingaretti che non ha accolto la sua (finta) disponibilità a rinunciare alla candidatura in cambio della testa di Callipo e del candidato dei 5s, Francesco Aiello. Oliverio giustifica il suo tardivo “ravvedimento”, affermando che «i tempi li ha dettati Jasmine Cristallo, la referente del movimento calabrese delle Sardine», che solo pochi giorni fa avrebbe deciso di lanciare il suo appello («Trovate una soluzione credibile e condivisa», ha scritto in una lettera aperta alle forze di sinistra).
Povero governatore, serviva che qualcuno gli dicesse che va tutto a ramengo perché se ne accorgesse. Serviva che qualcuno glielo spiegasse con una lettera aperta per rendersi conto che la Calabria affonda, che Salvini è sull’uscio con l’avviso di sfratto e che il centrodestra calabrese è a un passo dalla vittoria nonostante faccia ridere i polli per quanto sia inconcludente e raffazzonato. Dunque la colpa sarebbe di Zingaretti, che non si è calato le braghe al primo schiocco di dita del presidente uscente, che non ha messo il piede nella tagliola così maldestramente mimetizzata. La realtà suggerita da Oliverio è talmente surreale che il governatore non ha timore di superare abbondantemente il confine del pudore, e persevera nell’assurdo con sprezzo del ridicolo: ««Insisto ancora, c'è tempo per porre rimedio. Impegniamoci per unità e innovazione in una competizione elettorale il cui esito non può essere il ritorno indietro. Prima di tutto l'interesse della Calabria e dei calabresi. Si abbia il coraggio di liberarsi dai giochi di palazzo e dai condizionamenti delle correnti interne al partito». Si, è scritto proprio così: liberarsi dai giochi di palazzo. Come se Rocco Siffredi esortasse alla castità.
Insomma, basta. Se proprio volete prenderci in giro fatelo fingendo un minimo di rispetto. E che diamine!
degirolamo@lactv.it