Ieri il confronto tra il ministro promotore del ddl e i governatori. Se per il campano De Luca e il pugliese Emiliano è un no secco, il calabrese Occhiuto apre. Irto (Pd): «Provvedimento lesivo dell'unità del Paese»
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«Sostanzialmente nessuno si è dichiarato contrario all’autonomia differenziata», dice un soddisfatto Roberto Calderoli, il ministro per gli Affari regionali che ieri nel corso della Conferenza delle regioni ha presentato la sua proposta. A margine dell'incontro, spiega che «non c'è una spaccatura» tra i governatori, quanto «una paura del Sud che qualcuno sia avvantaggiato, a discapito delle regioni meridionali».
Eppure la spaccatura, sia pure sotto traccia c’è, eccome. Non solo nell’intransigenza del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ma anche in una serie di sfaccettature diverse sulle competenze che devono essere trasferite dallo Stato alle Regioni.
Il presidente della giunta regionale, Roberto Occhiuto, su questo sembra avere le idee molto chiare. Da giorni sostiene che una strada può essere quella dell’energia: «Non ho alcun pregiudizio ideologico nei confronti dell'autonomia differenziata. La mia regione, ad esempio, produce molta più energia di quella che consuma ma i miei cittadini pagano le bollette come quelli del Veneto. Ci sono materie che possono essere oggetto di autonomia differenziata e creare potenzialmente ricchezza anche nelle regioni del Sud», ha detto Occhiuto al termine dell’incontro.
Ma non tutti la pensano allo stesso modo. «Noi abbiamo precisato che è impossibile immaginare qualunque percorso di modifica della Costituzione senza una legge cornice che stabilisca, in dialogo stretto con la Conferenza delle Regioni, quale siano le materie che possono essere oggetto di intese e quali vadano necessariamente escluse. È escluso ad esempio che scuola, energia o trasporti possano essere oggetto di una delega alla Regioni. Il rischio è quello di una Babele in cui il cittadino italiano spostandosi sul territorio, trova regole diverse. Ciò non è coerente con la Costituzione vigente». Lo ha detto ad esempio il presidente della Puglia Michele Emiliano per il quale «prima di eventuali intese devono essere individuati i Lep (livelli essenziali delle prestazioni».
Insomma il tema dell’energia rischia quindi di spaccare le regioni del Sud, così come i partiti paiono divisi al loro interno. Il tema dell’autonomia differenziata sembra, infatti, geograficamente trasversale. Lo dimostrano le parole di Eugenio Giani. Il governatore toscano dem ritiene «che l’autonomia differenziata non vada letta come un problema di risorse che crea squilibri. Sono anni che questo percorso va avanti e procederà. Procederà perché è già nei fatti che abbiamo forme di autorganizzazione per gestire, con migliore efficienza, servizi a beneficio dei cittadini nelle singole regioni».
Ma nel Pd le perplessità sono tante al di là dei distinguo di Emiliano e del no secco di De Luca. «Va nella direzione giusta la presa di posizione assunta dal Pd sulla bozza del ddl Calderoli sull’autonomia differenziata dopo la riunione degli Uffici di presidenza dei gruppi parlamentari per discutere del tema». Ad affermarlo è il senatore del Pd Nicola Irto che ha preso parte ai lavori.
Irto va giù dritto nella sua dichiarazione: «Il ddl Calderoli va bloccato perché iniquo e inaccettabile. Il confronto che abbiamo avuto nella giornata di ieri è stato proficuo e approfondito. Deve essere prodotto ogni sforzo per evitare che venga adottato un provvedimento lesivo dell’unità del Paese. Serve immaginare un percorso diverso con l’elaborazione di una legge quadro figlia di un confronto preventivo e di una concertazione tra Parlamento e Regioni. Non possiamo permetterci che il progetto di autonomia differenziata per come oggi concepito dal centrodestra, spacchi ulteriormente il Paese o consentire che servizi nevralgici come scuola, trasporti e sanità abbiano livelli essenziali diversi nelle varie Regioni».
La sensazione è che l’incontro di ieri è stato solo prodromico alla discussione che si terrà nelle prossime settimane. L’obiettivo di Calderoli è portare a casa la riforma entro il 2023, quindi a scadenza breve. Una data ribadita anche dal governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliamo Fedriga, il quale conferma che i «Lep ci devono essere. Dopo l’incontro di oggi (di ieri, ndr) sono ottimista». Al punto da indicare anche una data di massima per concludere il percorso verso l'autonomia: «Realmente la norma potrebbe esser approvata entro il 2023».
Resta da capire come le diverse sfumature emerse nell’incontro di ieri saranno poi tradotte in Parlamento. In particolare tra le opposizioni. Del Pd abbiamo già detto. Si trovano su posizioni più battagliere Sinistra italiana e Verdi e soprattutto il Movimento 5 stelle. La senatrice Vincenza Aloisio ha depositato un’interrogazione parlamentare, sottoscritta da altri 20 senatori del M5S, in cui pone l’attenzione su due questioni fondamentali: «Innanzitutto riguardo all’iter di approvazione delle intese regionali, la bozza Calderoli punta a relegare il Parlamento al solo ruolo di ratifica, imponendo una pesante e pericolosa limitazione del confronto parlamentare, e un bavaglio a ogni tipo di opposizione».
«Ma ancora più grave», prosegue la parlamentare del M5S, «è il principio di fondo contenuto nella bozza, ovvero il ritorno al defunto criterio della spesa storica, la quale prevedeva che le risorse destinate agli enti locali venissero erogate in misura pari alla spesa sostenuta per i servizi producendo però pesanti distorsioni, tra cui un netto vantaggio economico per le Regioni del Nord che godono di un maggiore introito fiscale da poter investire».
Per questo nell’interrogazione si sostiene che “è necessario ripartire dal Fondo di perequazione, istituito con la riforma Costituzionale del 2001 ma non ancora dotato di risorse economiche, e dai Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che a oggi non sono stati ancora definiti nonostante i numerosi richiami della Corte Costituzionale”.
La strada insomma è ancora lunga, ma lo scontro frontale evocato da Vincenzo De Luca per ora non c’è stato.