Enza Bruno Bossio parte da una questione seria: ci fosse stata una legge ad hoc il piccolo Cocò si sarebbe salvato. In quella occasione, infatti, il Tribunale dei Minori non venne interpellato per l’affido del piccolo bimbo di Cassano. E “L’unica persona – commenta l’onorevole Bruno Bossio – che non avrebbe mai dovuto tenerlo in braccio era proprio il nonno”. La storia poi si sa, purtroppo, com’è finita. Cocò è stato ucciso in un agguato mafioso proprio perché assieme al suo custode. Custode non per colpa del Tribunale, che nulla ha potuto non essendoci una legge specifica in materia.

 

Ecco, quindi, la proposta di legge pensata, di concerto con il Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, per “affrontare uno degli aspetti più significativi dell’infanzia violata, vale a dire quella del cosiddetto indottrinamento mafioso, cioè l’esposizione quotidiana e costante dei minori, figli di genitori appartenenti alla criminalità organizzata, alle logiche antisociali e apertamente contra legem che i clan pongono alla base della loro stessa sopravvivenza”.

 

I figli della 'ndrangheta strappati alle famiglie

 

Una proposta a tutto tondo, che non ha come obiettivo quello di “togliere tout-court i figli ai mafiosi”, ma di aprire un nuovo capitolo sinergico tra istituzioni dello Stato, perché “bisogna valutare sempre come comportarsi”. Infatti, l’idea in sintesi è questa: ad ogni processo e/o indagini aperti per mafia, qualora il magistrato si accorga che all’interno del nucleo ci siano dei bambini che corrono il rischio di seguire in una qualche maniera le orme del padre o della famiglia in genere, interpella direttamente il Tribunale dei Minori che si occuperà quindi del caso in senso di “idoneità genitoriale”, valutando la possibilità o meno di mandare il minore in, ad esempio, casa famiglia.

 

“Ci troviamo –spiega Enza Bruno Bossio – di fronte ad una situazione complessa e spinosa. Ci sono due livelli: il bianco ovvero mai togliere i figli dai contesti mafiosi perché non è detto che cresceranno come i padri; il nero ovvero bisogna toglierli perché sicuramente cresceranno mafiosi. Poi c’è una terza via: valutare attentamente ogni singolo caso. Ecco, la terza via è la migliore, così come del resto contenuto nella convenzione di New York del 1989, che nell’articolo 3 promuove l'interesse superiore del fanciullo come considerazione preminente”.

“Per un bambino -continua - crescere in contesti di mafia non vuol dire solo assorbire la negatività della dimensione valoriale abbracciata dalla sua famiglia, ma vuol dire anche subire la disincentivazione al processo naturale di progressivo distacco dal nucleo familiare d’appartenenza, vuol dire subire, senza neppure accorgersene, lo schiacciamento della propria individualità”.

E in attesa che questa proposta diventi legge, il Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, le Procure e i Tribunali di Reggio Calabria, Locri e Palmi, la Procura generale e la Corte d'Appello, hanno stilato un protocollo d’intesa, che per la Bruno Bossio è “un esempio da imitare”.

 

Angelo De Luca