Per la leader di Fratelli d’Italia il contesto calabrese è un vespaio dal quale non riesce a uscire. I transfughi da altri partiti si sono rivelati un pessimo affare, a cominciare dall’ex senatore di Fi Giancarlo Pittelli, attualmente in carcere. Un disastro anche le comunali di Reggio, la mancata presidenza del Consiglio regionale e la rinuncia alla Commissione antimafia
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La situazione è decisamente critica se Giorgia Meloni, la leader sovranista per eccellenza, ha smesso di vantarsi delle percentuali strabilianti e dei sondaggi favorevoli per intraprendere, almeno per la Calabria, un nuovo percorso d’azione politica, divenuto quasi obbligato: la fuga.
In Calabria non ne azzecca una
Ira, imbarazzo, delusione, sono i mix di emozioni che l’icona pop-politica dei meme del mondo social continua a provare in riferimento a ciò che succede al suo partito in Calabria. Non ne azzecca una e quando prova a fidarsi di qualcuno cade in trappole dalle quali è difficile uscire mediaticamente e politicamente. Ecco allora che il diktat ai “fratellisti calabresi” è stato imporre la “Fdi-Exit”: no al candidato Sindaco a Reggio Calabria, no alla Presidenza del consiglio regionale e no alla Presidenza della commissione regionale anti ‘ndrangheta.
Quest’ultimo recente accadimento ha portato la commissaria regionale del Partito, la deputata Wanda Ferro, a specificare come non vi fossero “ragioni extrapolitiche” per rifiutare quella casella del consiglio regionale. Eppure tutto fa pensare il contrario.
Con Pittelli il primo disastro
Prima ci furono quelli del “valore aggiunto”, ossia salutati con questa espressione dalla dirigenza (Meloni in testa) quando decisero di lasciare il partito di Berlusconi per i nuovi orizzonti sovranisti (più elettoralmente favorevoli).
Parliamo, innanzitutto, di Giancarlo Pittelli, parlamentare e senatore con Forza Italia, accolto a braccia spalancate in Fdi nel 2017. «Un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia» twittava la Meloni, «un’ulteriore spinta propulsiva a Fratelli d’Italia in Calabria» si accodava l’allora coordinatore regionale Ernesto Rapani.
Il noto penalista, però, è in carcere dal dicembre scorso perchè accusato da Nicola Gratteri di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita-Scott”. Si ritiene abbia “messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati”, tant’è che per i clan, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, «L’avvocato Pittelli è sempre disponibile, è sempre un amico».
Altro passo falso: Alessandro Nicolò
Un altro “valore aggiunto” (Rapani dixit) è Alessandro Nicolò, già capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale, ha aderito a Fratelli D’Italia nell’aprile 2018 dopo aver perso il seggio alla Camera scalzato da Francesco Cannizzaro. «La mancata candidatura è stata una violenza», si trovò a dichiarare in conferenza stampa. Nel gennaio 2019 venne nominato coordinatore provinciale di Reggio Calabria del suo nuovo partito e nel successivo maggio si trovò sul palco con Giorgia Meloni. Era in pole per divenire candidato sindaco della città dello stretto. Due mesi dopo, però, anche per Niccolò si aprirono le porte del carcere a causa dell’indagine della Dda di Reggio Calabria denominata “Libro nero” che lo vede indagato, anch’esso, per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accusa Nicolò avrebbe favorito, in cambio di appoggi elettorali, gli obiettivi della cosca Libri di Cannavò, al cui vertice vi sarebbe Filippo Chirico, genero del boss defunto Pasquale Libri, già condannato a vent’anni di reclusione nell’inchiesta Theorema-Roccaforte.
Non va meglio con gli eletti: il caso Creazzo
Dopo i “valore aggiunto” abbiamo gli eletti. Già, Giorgia Meloni dichiarò nel dicembre 2019, dopo l’arresto per voto di scambio politico-mafioso dell’ex assessore regionale del Piemonte Roberto Rosso, che «la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta ci fanno schifo e ci fa schifo chi scende a patti con loro. Da sempre, noi di Fratelli d’Italia siamo rigidissimi nella selezione e nelle candidature e facciamo tutto quello che è nelle nostre possibilità per proporre agli italiani persone senza macchia».
Non è stato così in vista delle regionali calabresi. Deputato a stilare le liste di candidati era il deputato campano Edmondo Cirielli che decise di imbarcare fior fior di transfughi dal centrosinistra, forse, senza seguire gli accurati controlli suggeriti dalla sua leader.
Quello che fece più clamore è stato Domenico Creazzo, già Sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte pro-Oliverio, un mese dopo la sua elezione a consigliere regionale con Fdi e, quindi, previa fugacissima conversione sovranista, è stato arrestato (ed è tutt’ora agli arresti domiciliari) nell’ambito dell’inchiesta “Eyphemos” della Dda di Reggio Calabria. È accusato di voto di scambio politico mafioso con la cosca Alvaro di Sinopoli.
Al suo posto è subentrato l’ex vicesindaco di Locri, Raffaele Sainato, che, seppur non indagato, ha visto il suo nome negli atti dell’inchiesta “Mandamento Jonico” che ha svelato il potere elettorale di alcune cosche della locride.
Neri non indagato ma il suo nome nelle carte della Dda
Un altro eletto è Giuseppe Neri. Cognato dell’ex senatore ed ex candidato Presidente di Regione per il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, Nino D’Ascola, è stato consigliere provinciale del Partito Democratico a Reggio Calabria nel 2013 per poi svoltare ancora più a sinistra con l’elezione alle elezioni regionali del 2014 con la lista dei Democratici e Progressisti. Planato, senza preavviso, in Fratelli D’Italia lo scorso gennaio, Neri compare più volte nella stessa inchiesta di Creazzo, pur non essendo indagato, ma in un passo dell’ordinanza di custodia cautelare dell’ex consigliere regionale si legge che: “Antonino Creazzo, senza mezzi termini, ascriveva il successo elettorale precedente di Giuseppe Neri ‘all’impegno’ di importanti cosche di ‘ndrangheta, attivate tramite intermediario”.
Morrone accusato di traffico di influenze
Un altro eletto è Luca Morrone, figlio dell’ex Democratico, ex Udeur ed ex capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale Ennio. Il neo vicepresidente del consiglio regionale è stato in precedenza eletto consigliere comunale a Cosenza prima nel 2011 con i “Popolari e liberali” a sostegno di Mario Occhiuto e poi nel 2016 con il centro-sinistra a favore dell’attuale collega consigliere regionale del PD Carlo Guccione. Ed è da questo primo “switch” che gli è derivata l’accusa di “traffico di influenze illecite” da parte della Procura di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta Passepartout.
Insomma, solo grane per Giorgia Meloni in Calabria che, in attesa di una profonda ristrutturazione del Partito su base regionale, si mantiene decisamente alla larga dagli eventi e dalle dinamiche regionali forse in attesa di ulteriori eventi giudiziari, scandali e delusioni da parte dei “suoi” Fratelli (coltelli) D’Italia.