Il senatore Antonio Caridi, accompagnato dai suoi legali, si è costituito al carcere di Rebibbia. “Ovviamente ci consegneremo noi” avevano già assicurato gli avvocato al termine della votazione del Senato che ha confermato la decisione della giunta per le elezioni, al termine di una lunga e tormentata seduta.


A scompaginare le carte ci ha pensato il presidente Grasso che ha invertito i punti all’ordine del giorno e aprendo i lavori con la votazione su Caridi. Una decisione che ha provocato le vibranti proteste dell’opposizione, ma anche la sorpresa nel gruppo del Pd che, attraverso Luigi Zanda, ha chiaramente dichiarato che il presidente non aveva concordato la decisione.


Al termine della liturgia degli interventi, l’Aula si è espressa con 154 voti a favore, 110 contrari e 12 astenuti.


Al netto delle questioni giudiziarie e delle annose questioni sull’immunità parlamentare che animano il dibattito tra garantisti e forcaioli, un dato politico emerge con chiarezza: al Senato la maggioranza rischia di non esistere più, stritolata da un tripolarismo che condizionerà i prossimi appuntamenti elettorali.


A condannare Caridi ci ha pensato un’inedita maggioranza Pd-Cinquestelle. O meglio i democrat si sono dovuti arrendere alle pressioni grilline per non rischiare di perdere altro terreno nei confronti di un’opinione pubblica sempre più desiderosa di giustizialismo facile.
Anche a rischio di mettere a rischio l’alleanza su cui il governo Renzi ha fin qui costruito le sue avventure. Contro l’arresto di Caridi si sono espressi Fi, Area Popolare e i verdiniani.


Ad eccezione degli azzurri, dunque, anche i gruppi di Ncd-Udc e i fuoriusciti da Fi si sono ricompattati sul no. Una grande area di centro che, a questo punto, potrebbe davvero dare del filo da torcere al premier Renzi fino al referendum e anche dopo.
Lo sottolinea, a caldo, il presidente della Commissione Lavoro di palazzo Madama Maurizio Sacconi che si è anche rivolto a Stefano Parisi, l’uomo cui Berlusconi ha affidato il compito di ricostruire il centrodestra.


"Il voto sulla proposta di sospensiva dell'esame della autorizzazione all'arresto del senatore Caridi per una evidente esigenza di approfondimento e per attendere il giudizio del tribunale della libertà ha plasticamente disegnato l'area liberal popolare rispetto all'area illiberale. Ne tenga conto Stefano Parisi perchè nel nostro Paese l'anomalia giudiziaria persiste da oltre vent'anni ed ha avuto effetti disgreganti sulla società e sulla economia senza avere prodotto un efficace contrasto della corruzione. Alla base di una rinnovata alternativa liberale non potranno non riproporsi i principi dello Stato di diritto e gli obiettivi di una giustizia giusta perchè sobria e tempestiva. Per queste primarie ragioni i liberal popolari non possono che essere elettoralmente alternativi al Partito Democratico. Emerge tuttavia anche un problema con la Lega che alla prova da sforzo sembra non resistere alla tentazione giustizialista”.
Più chiaro di così il messaggio non poteva essere. E che il voto su Caridi abbia un forte sapore politico lo dimostra anche il diverso esito di vicende analoghe. Nel caso del senatore Giovanni Bilardi, altro calabrese finito sotto inchiesta, il Senato rinviò la decisione fino alla cessazione delle esigenze cautelari.


In questo caso, invece, palazzo Madama ha voluto brillare per celerità non consentendo né l’esame della documentazione (circa 1800 pagine di documenti) come aveva richiesto Forza Italia, né un rinvio per consentire di conoscere il provvedimento del Tdl di Reggio previsto per il prossimo 13 agosto. Preferendo far slittare la discussione sul ddl sull’editoria che doveva essere affrontato dopo la votazione su Caridi, ma che è slittato per la sopravvenuta mancanza del numero legale.


Del resto i temi della giustizia e dei rapporti tra politica e magistratura hanno diviso gli schieramenti nello scorso ventennio. E sembrano in grado di farlo anche oggi.


Movimenti che potrebbero avere precise conseguenze anche in Calabria, dove il senatore Caridi era un big di Forza Italia, al cui interno ricopriva anche l’incarico di vice coordinatore regionale e di commissario della federazione di Crotone.


Il suo arresto che ha già complicato parecchio i piani della Santelli in ordine ad un futuro avvicendamento, ha praticamente ridotto al lumicino le forze azzurre a Reggio Calabria. Domenica si voterà per la Città Metropolitana e la lista del centrodestra, proprio per il venir meno delle forze legate a Caridi, è stata presentata per miracolo e solo grazie allo sforzo del capogruppo in Consiglio Nicolò.


La riorganizzazione di Fi, dunque, non potrà che ripartire dalla ricostruzione dell’area moderata, così come si era capito già dalla convention che a Vibo aveva organizzato Giuseppe Mangialavori alla presenza di Toti, Matteoli e Carfagna. Un’area moderata, però, che per tornare alternativa di governo dovrà riprendere il dialogo con le forze centriste. E chissà che le distanza che Ncd sembra aver preso in Consiglio regionale dal Pd non si possano inquadrare in questo contesto.


Riccardo Tripepi