A Dentro la Notizia il docente sulla decisione della Corte costituzionale: «Toccherà ora ai gruppi parlamentari mediare e modificare la legge 86 così come impone la sentenza di novembre, ma senza pressione dal corpo elettorale perché il popolo non si esprimerà»
Tutti gli articoli di Politica
PHOTO
Non ci sarà, almeno per adesso, un referendum abrogativo per cancellare dall’agenda del Governo l’Autonomia differenziata. Lo ha stabilito ieri pomeriggio la Corte Costituzionale. Stella polare della Lega, la legge firmata da Roberto Calderoli aveva però già subito una battuta d’arresto a novembre quando la Consulta ha pubblicato la sentenza sui ricorsi di Puglia, Campania, Sardegna e Toscana. Pur confermando la legittimità della legge sotto il profilo costituzionale, segnalò sette rilievi basati sul concetto, centrale, di sussidiarietà che dovrà colmare il parlamento.
Le reazioni sono state svariate, con i sindacati che hanno annunciato di voler continuare la battaglia e con il Carroccio che invece ha esultato. Il Ministro per gli affari regionali e il governatore del Veneto Zaia hanno auspicato un’accelerata. Ospite odierno di “Dentro la Notizia”, il programma condotto da Pierpaolo Cambareri ed in onda ogni giorno alle 13 su LaC Tv, è stato il professore dell’Unical Walter Nocito, docente di Diritto pubblico (QUI LA PUNTATA).
«Nel comunicato stampa la corte basa l’inammissibilità sul fatto che il quesito presentato non sia chiaro - spiega -. Ciò, secondo i giudici, compromette la possibilità di una scelta consapevole dell’elettore. La consultazione popolare avrebbe quindi una portata che ne altererebbe la funzione, cosa, aggiungono dalla Corte, che non può essere oggetto di referendum abrogativo. Quindi è come se sostenessero: se volete abrogare in toto, fate prima la revisione costituzionale. Ma resta il fatto che il popolo non si è esprimerà e che tutto è stato parlamentarizzato».
L’impatto sul Governo, qualora la riforma leghista fosse stata oggetto di valutazione dell’elettorato, avrebbe innescato sicuramente pericolosi meccanismi interni. «Sì - prosegue Nocito - c’era questo aspetto da tenere in considerazione, ecco perché i Ministri in Italia e Giorgia Meloni a Washington avranno brindato: non ci sarà alcuno stress-test. Chi spinge il piede sull’acceleratore è Zaia, che sarebbe anche a fine mandato al netto del ricorso definito sul “governatore a vita” a cui guarda anche De Luca. Sebbene Occhiuto e Tajani dicano che si chiuderà la pratica sull’Autonomia differenziata, io non so se ciò avverrà e credo che i negoziati andranno avanti».
Il docente Unical si focalizza quindi sull’apporto alla discussione dei parlamentari meridionali di centrodestra, facendo in particolare le pulci agli azzurri. «Mi aspetto che tengano fede a quanto sancito dalla Corte Costituzionale: il finanziamento delle funzioni tramite Lep e contributi straordinari. Il “no money no party” è più attuale che mai e caratterizza la componente del Sud di Forza Italia: questo dà loro la forza per negoziare nella maggioranza a Roma».
La discussione in studio è lineare, ricca di spunti e procede con un’analisi politica precisa. «Il centrodestra esulta? Giuridicamente sbaglia a farlo, ma politicamente ne ha ben donde perché con una consultazione popolare a giugno la coalizione si sarebbe potuta frammentare alle urne. Invece - dice Nocito - da ieri toccherà ai gruppi parlamentari mediare e modificare la legge 86 così come impone la sentenza di novembre, ma senza pressione dal corpo elettorale».
La Corte Costituzionale, di pari, ha ritenuto ammissibili i quesiti di cinque referendum. Sono tutti “abrogativi”, cioè con cui i cittadini possono chiedere di eliminare totalmente o in parte una norma. Perché siano validi serve che vada a votare più di metà degli aventi diritto. Riguardano cittadinanza, Jobs Act, indennità di licenziamento nelle piccole imprese, contratti di lavoro a termine e responsabilità solidale del committente negli appalti. All’orizzonte una battaglia polarizzata, sindacati e centrosinistra per il Sì, centrodestra per il No. Con Renzi che difenderà la riforma partorita sotto il suo governo sul diritto del lavoro in Italia volta a flessibilizzare il mercato del lavoro.
«I referendum superstiti sono delicati. Il punto è vedere se sono mobilitanti oppure no. Uno lo ha richiesto +Europa e mira a riportare da 10 a 5 gli anni per concedere la cittadinanza agli stranieri: facile prevedere che Fratelli d’Italia faccia opposizione. Sul Jobs Act il Partito Democratico deve dirci cosa vuole fare: lo propose un Pd, quello di Renzi, che non esiste più. La Cgil, invece, è nella campagna referendaria in tutto e per tutto perché ha proposto gli altri quattro referendum, specialmente quello relativo alla catena degli appalti e dei sub-appalti. L’obiettivo – conclude Nocito - è dare copertura contrattuale ai lavoratori con tutele crescenti. Riusciranno i sindacati a portare la gente alle urne e sensibilizzare su questi temi?».