E fu così che il Ponte divenne un progetto scomodo anche per chi da anni lo sponsorizza come fosse la soluzione a tutti i problemi dell’Italia. Lo scontro nella Lega rischia di capovolgere priorità e mutare quelli che sembravano obiettivi scalfiti nella pietra. Questo perché nel Carroccio la voce del Nord si è alzata e non intende più tacere. La (nuova) spina nel fianco del segretario Matteo Salvini è Massimiliano Romeo - da domenica alla guida del partito in Lombardia, pur non essendo nel cerchio magico del segretario - diventa la spina nel fianco del segretario.

Il suo mantra è «dobbiamo tornare a parlare del Nord»: lo ripete spesso assieme ai governatori leghisti. Una frase che parla anche al Meridione, diventato (nel partito) serbatoio dei consensi per Salvini. Il ragionamento è semplice: come spesso accade nelle organizzazioni che vivono difficoltà, l’istinto è quello di chiudersi nelle roccaforti storiche. Così la Lega, a partire dal governatore lombardo Attilio Fontana, lancia un diktat ai vertici e chiede una sterzata nella gestione interna: «Ripartiamo con entusiasmo e senza perdere un minuto per coinvolgere la nostra base». Significa che per la fronda anti salviniana va bene il partito nazionale, intuizione del leader che ha portato il Carroccio al 34%, ma ora i tempi sono cambiati e bisogna tornare al passato.

Per il popolo padano, non si possono accantonare le richieste del Nord più produttivo in nome ad esempio dei cantieri aperti nelle zone più remote. O, peggio, del Ponte sullo Stretto che verrà, vanto del ministro delle Infrastrutture che la fronda interna finisce per considerare più ossessione che necessità concreta.

I salviniani ribattono che quello sul Nord sembra uno slogan vuoto e che anche l'accanimento sul Ponte tra Calabria e Sicilia è fuorviante. Costerà molto meno dei 15 miliardi - è la loro tesi - e il confronto, ad esempio, con la (mancata) riforma delle pensioni non regge, visto che quest'ultima costerebbe parecchio di più spalmata negli anni.

Insomma, nella Lega la contrapposizione è sempre più regionale, tra le frustrazioni del Nord e le rivendicazioni del Sud apparentemente più devoto al segretario (ma non al partito, accusa la vecchia guardia). Da qui il pressing sulle prossime regionali. Una sfida che si gioca, per ora, su Veneto (ambita da Fratelli d’Italia) e Campania (dove la Lega vorrebbe un candidato da contrapporre a Vincenzo De Luca). Dal Sud passa un altro snodo centrale per il futuro del partito: la sentenza per il processo Open arms, attesa venerdì. Salvini, che quel giorno sarà a Palermo, rischia sei anni di carcere per aver impedito lo sbarco di 147 migranti rimasti in mare 19 giorni, nell'agosto 2019 quando era ministro dell'Interno. Per molti, un'eventuale condanna potrebbe tornargli utile per accreditarsi pubblicamente come un martire che ha pagato per aver difeso i confini dell'Italia. E forse lo aiuterebbe a compattare il partito. Del resto, le parole di Giancarlo Giorgetti al congresso lombardo sono state chiare: «Abbiamo bisogno di un capo e il capo va rispettato».