Nella crisi della sinistra non c’è solo la fine dei dem ma soprattutto la mancanza di dissenso organizzato verso il nuovo pensiero dominante, un vulnus che mette a rischio la tenuta democratica dell’Italia
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Houston, abbiamo un problema. Ed è un problema bello grosso per una democrazia occidentale: la mancanza di opposizione. L’esito del ballottaggio che ha chiuso il capitolo delle elezioni amministrative aperto il 10 giugno scorso ha confermato il consolidamento dell’attuale maggioranza di governo, che se si dovesse votare nuovamente domani per il rinnovo del parlamento porterebbe a casa il 60, forse anche il 70 per cento dei consensi. Una forza elettorale enorme che schiaccia anche le più temerarie speranze dei partiti diversi da Lega e Cinquestelle.
Di contro, il principale oppositore dell’ondata populista, quel Pd che appena 4 anni fa ostentava il 41 per cento delle Europee capolavoro di Renzi, è stato letteralmente annichilito e costretto a cedere Comuni, soprattutto in Toscana ed Emilia, che sino ad oggi avevano conosciuto solo giunte rosse. Una sconfitta impressionante per dimensioni e conseguenze, che rende ancora più evidente la débâcle delle Politiche del 4 marzo scorso.
Insomma, il Pd non esiste più. E questo a molti non può che far piacere. Anzi di più. C’è chi letteralmente sprizza rivalsa da tutti i pori, aggiungendo all’esultanza del vincitore il disprezzo del dominatore, senza rendersi conto che la sconfitta totale della sinistra rappresenta un concreto rischio per la tenuta democratica del Paese.
Oggi in Italia, infatti, non esiste più opposizione, che nelle dinamiche politiche e parlamentari rappresenta il primo e più importante contrappeso alle spinte autoritarie.
Anche Forza Italia, che non ha votato la fiducia al governo Conte, non ha nessuna intenzione di fare la voce grossa contro il nuovo leader del centrodestra, quel Matteo Salvini che presto o tardi potrebbe essere chiamato a guidare per lo schieramento che contiene il partito dell’ex cavaliere un’altra competizione elettorale, a cominciare probabilmente dalle Europee di novembre 2019. Senza contare che sono tante le giunte di centrodestra, soprattutto al Nord, nelle quali Lega e FI governano insieme, da Gorizia a Pordenone, da Trieste a Genova, passando per La Spezia, Como, Monza, Alessandria, Asti, Novara, Rovigo, Verona e tante altre fino a L’Aquila.
Stessa cosa dicasi per la sparuta pattuglia parlamentare di Fratelli d’Italia, che in più condivide con Salvini un approccio sovranista e nazionalista. Resterebbe il Pd, se solo il Pd esistesse ancora.
Immaginare la settima potenza industriale, l’Italia appunto, senza un’opposizione dovrebbe impensierire anche chi oggi si crede politicamente sul tetto del mondo. E dovrebbe dare la sveglia a quanti, a cominciare da Matteo Renzi, continuano a ingozzarsi di popcorn senza sentire il dovere morale di fare la propria parte, anche se è una parte difficile e, per ora, perdente.
All’indomani delle elezioni Politiche, nel negare la disponibilità del suo partito a un’alleanza di governo con l’M5s, il senatore di Scandicci fu il primo a esaltare il ruolo dell’opposizione, dicendo che al suo partito avrebbe fatto bene tornare a svolgere questa funzione, che gli avrebbe consentito di recuperare il contatto perso con il proprio elettorato. A quanto pare solo chiacchiere, perché da allora la sinistra si è completamente ecclissata dalla scena nazionale, limitandosi al compitino parlamentare del voto contrario e rinunciando a contrastare nel dibattito politico il nuovo pensiero dominante, forse nella consapevolezza di non avere la credibilità necessaria per dire alcunché.
Quel residuale confronto che si sta sviluppando tra i dem si limita a concentrarsi su cosa fare del Pd, se rifondarlo o cancellarlo, se cambiargli nome o andare “oltre”, come suggerisce Calenda, costruendo una nuova entità repubblicana ed anti sovranista. Tutte cose che saranno pure interessanti per qualcuno, ma che niente hanno a che fare con l’opposizione politica a una maggioranza che sta sdoganando senza alcuna resistenza temi e approcci operativi pescati a piene mani nel livore dei social.
Enrico De Girolamo