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La reazione è stata forse peggiore dell’azione stessa. Il pasticcio sulle pensioni dei consiglieri regionali è un duro colpo per la credibilità dei nostri politici da qualsiasi punto lo si esamini.
Intanto la proposta di legge che prevedeva trattamenti previdenziali privilegiati con un aggravio di costi per oltre 600mila euro sulle già provate casse regionali era già stata depositata in modo singolare. Con alcune firme, oltre le venti già note, cancellate all’ultimo momento. Come se qualcuno se ne fosse pentito o volesse giocare un brutto scherzo ai colleghi. Tra i nomi cancellati quelli di Guccione, Ciconte e Sculco ad esempio, tra i principali oppositori dell’amministrazione Oliverio.
Poi una volta svelato il contenuto della legge, la pochezza della nostra classe dirigente è venuta fuori in tutta la sua evidenza. Mimmo Battaglia ha provato a difenderne i contenuti dicendo che il Consiglio doveva legiferare sul punto perché al momento non esiste un regime previdenziale dopo l’abolizione del vitalizio. Poi c’è stato chi, come Arturo Bova, ha detto di aver apposto la firma troppo frettolosamente senza aver letto bene i contenuti.
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Ma davanti agli inevitabili assalti al fortino dei populisti di tutti gli schieramenti politici, è toccato ad Oliverio e Irto far calare il sipario sulla vicenda. Oliverio, addirittura, ha rispolverato un istituto desueto, come quello della fiducia, invitando i suoi a ritirare la legge.
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Irto ha precisato che la legge non è da considerarsi prioritaria per la Regione. La sensazione finale è che si stava provando ad approvare una legge di nascosto e che un corto circuito nella maggioranza abbia causato una fuga di notizie. A quel punto tutti sono tornati sui propri passi, ritornando moralisti, nell’attesa di presentare una nuova legge sul tema che comunque va disciplinato. Stavolta, magari, evitando di gravare ulteriormente sulle casse di palazzo Campanella e sui soldi dei calabresi.
Riccardo Tripepi