Ripartire dagli asili nido. È una frase che anche ieri pomeriggio ha risuonato di sovente nel corso del dibattito - da destra a sinistra, passando dai banchi del governo regionale - che ha portato il Consiglio regionale all’approvazione della legge “Misure per il superamento della discriminazione di genere e incentivi per l’occupazione femminile”. Il motivo è che il funzionamento, e prima ancora l’esistenza, degli asili nido rappresentano una condizione imprescindibile per concretizzare (anche questa una parola usata fino allo sfinimento) gli obiettivi che si prefissa la legge in questione. Diversi consiglieri, da Ernesto Alecci ad Antonio Lo Schiavo hanno evidenziato questo aspetto. Il primo, sottolineando che le leggi non orientano, ma dispongono, ha rimarcato la necessità di dare il buon esempio “concretizzando” l’idea di creare un asilo nido all’interno della Cittadella. Il secondo ha ricordato che in Emilia Romagna si spende 2400 euro pro capite per asili, mentre in Calabria se ne spendono solo 59 e che a Reggio Emilia se ne contano 60, mentre a Reggio Calabria soltanto tre. Un esempio questo che continuiamo a sentire da decenni senza riuscire mai a porvi rimedio.

È pur vero quello che ha detto la vicepresidente Giusi Princi, che di quella legge è la prima ispiratrice: «il focus della legge è, e deve rimanere, l'occupazione femminile e il lavoro», aggiungendo, perché chiamata in causa in veste di educatrice, che sugli asili nido si sta lavorando in team con la collega Tilde Minasi, assessore alle Politiche sociali: «Noi abbiamo 30 milioni di euro su cui stiamo intervenendo. Stiamo individuando i comuni che assurgeranno al ruolo di capofila di ambito e quindi utilizzando queste risorse e quelle stanziate dal ministro per il sud, Mara Carfagna, riusciremo veramente a dare ai bambini della nostra regione questa importante opportunità». La Princi ha poi insistito ricordando che all’articolo 5 della legge è già previsto che vengano dati incentivi sotto forma di premialità economica alle imprese che utilizzano strumenti di equilibrio vita lavoro e quindi che abbiano all'interno orari flessibili, smart working, ferie, permessi solidali, e asili nido aziendali. Solo che questi “orientamenti” vanno declinati. Perché ciò accada è stato deciso di istituire un Tavolo tecnico aperto al contributo di tutte le forze politiche, che si insedierà entro 120 giorni. Un termine troppo lungo se si vuole guardare anche alle opportunità offerte dal Piano nazionale di rilancio e resilienza, da cui la legge vuole pure attingere.

Il bando prorogato per mancanza di progetti

Basti pensare che il bando per la realizzazione di asili nido finanziato con i fondi del Pnrr ha registrato un mezzo flop. Tanto da costringere il ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, Mara Carfagna, a prorogare il termine della scadenza del bando al 31 marzo (è scaduto lo scorso 28 febbraio). D’altra parte se i bandi per l’edilizia scolastica hanno registrato una buona partecipazione di tutte le Regioni, l’eccezione è rappresentata del bando da 2,4 miliardi per gli asili nido, dove le richieste arrivano appena a metà dell’investimento programmato dal governo. Insomma la partecipazione dei Comuni che dovevano presentare i progetti è stata scarsa, arrivando ad appena la metà delle risorse programmate.

Dal governo sono convinti, come certamente lo sono i nostri amministratori, che i nidi per la fascia d’età 0-3 anni rappresentino un servizio educativo e sociale essenziale e che la diseguaglianza in questo settore tra Comuni del Nord e del Sud sia intollerabile. Eppure, come al solito la Calabria risulta essere la regione in cui si è fatto peggio in compagnia di Campania e Sicilia. Proprio le regioni che registrano la maggiore carenza di queste strutture. Una sorta di fotocopia di quanto accaduto per il bando sull’economia circolare, e quindi i rifiuti: anche in quel caso l’obiettivo era allentare il divario tra Nord e Sud, ma ancora una volta a mancare all’appello progettuale è proprio chi più ne avrebbe bisogno.

Lontani dai “livelli minimi”

L’obiettivo del bando, per come lo aveva illustrato il ministro Carfagna era chiaro: «Tutti i Comuni dal nord al sud dovranno garantire a assicurare dei livelli minimi, che corrispondono a 33 posti ogni 100 bambini residenti». Un traguardo che si scontra con la dura realtà sul tasso di copertura degli asili nido dove si contano punte anche del 33-34% in alcune regioni del centro nord, per scendere sotto il 14% nel Mezzogiorno. Siccome l’obiettivo è quello di portare le regioni in linea col parametro europeo (33%) entro il 2025, proprio al Mezzogiorno è stato destinato oltre il 55% delle risorse. Eppure, le richieste pervenute dalla nostra regione sono al di sotto del 50% del plafond messo a disposizione della Calabria, dove oggi frequenta un asilo soltanto il 2,2% dei bambini della fascia 0-2 anni (In Emilia Romagna, dove sono stati presentati progetti in eccesso, il tasso di frequenza dei nidi è undici volte più alto di quello calabrese).

A rischio i fondi?

Numeri del genere non hanno fatto altro che alimentare il dibattito sulla distribuzione dei fondi del Recovery fund, fino ad arrivare alla proposta del sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha candidato la sua città al ruolo di raccoglitore dei fondi inutilizzati dal Sud.

Il motivo della scarsa progettualità proveniente dal sud diventa quindi il tema centrale da affrontare – come del resto più volte denunciato dal presidente Roberto Occhiuto – dalla politica. Anche perché la creazione degli asili nido vale anche migliaia di nuovi posti di lavoro. Vanno quindi ricercate le ragioni dell’insuccesso del bando in questione, allargando l’orizzonte agli altri ambiti di intervento del Pnrr dove la Calabria sembra in perenne affanno. Insomma bisogna correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
Non vorremmo dopo lamentarci che il basso numero delle istanze presentate sia legato al retaggio culturale delle regioni del Mezzogiorno secondo cui la donna deve pensare a crescere la prole.