È un tormento personale che diventa lo specchio di un disagio molto più grande, quasi collettivo. Giuseppe Aieta non ha ancora tagliato il nodo gordiano: andare alla Leopolda di Renzi oppure rimanere nel Pd, cioè a casa di Zingaretti?

Per il consigliere regionale non è una questione da poco, perché dalla scelta passa il suo futuro politico. La convention di Firenze, che inizia oggi, festeggia il suo decennale; e Aieta è stato presente in tutte le altre 9 edizioni.

Per lui è sempre stato un appuntamento fisso, fin dalle prime volte, quando i calabresi che credevano nel “rottamatore” si contavano sulle dita di una mano. Poi l'ascesa di Renzi ha provocato una infatuazione che è stata come un virus capace di contagiare molti di quei dem che oggi, invece, giurano amore eterno a Zingaretti.

Aieta, in fondo, è rimasto sempre un renziano, e questo spiega il suo «tormento» di questi giorni. «Mi sto quasi violentando a non andare, mi sarebbe piaciuto ascoltare ancora una volta Matteo», avrebbe confessato il consigliere dem ai suoi collaboratori.

 

Stavolta, l'ex sindaco di Cetraro lo sa bene, è diverso, perché Renzi – dopo aver favorito la nascita del governo Conte – ha lasciato il Pd per creare Italia Viva, il nuovo partito che sarà tenuto a battesimo proprio nella vecchia stazione di Firenze. La presenza di Aieta alla Leopolda determinerebbe quindi la rottura totale, senza possibilità di ritorno, con il suo attuale partito.

Malgrado il rischio, Aieta avrebbe comunque «tanta voglia di andare», anche perché «questo Pd non mi piace, mercanteggiano sulle candidature delle Regioni come facevano gli antichi romani».

Non è un caso isolato

Ecco, quella di Aieta non è una questione privata, quanto la punta di un disagio molto diffuso in tutta la Calabria. Soprattutto in quell'area che non si riconosce più nella linea di Zingaretti e che, in particolar modo, non accetta l'unione elettorale forzosa con il Movimento 5 Stelle.

Tra questi scontenti ci sono pure gli oliveriani (come lo stesso Aieta), cioè tutti quei dirigenti e militanti dem che – in disaccordo con la segreteria nazionale – continuano a pretendere le primarie per la scelta del candidato presidente, certi che l'attuale governatore le vincerebbe a mani basse. Il tormento di Aieta riguarda anche loro.

Buona parte dell'area fedele al governatore spera che Renzi – nell'ottica di una strategia generale di logoramento anti-Pd – possa infine fare da sponda al “reietto” Oliverio e dargli una mano nella sua corsa (finora solitaria) verso la Cittadella. Insomma, molti oliveriani – gli stessi che erano passati senza battere ciglio dall'area di Renzi a quella di Zingaretti – sarebbero pronti ad aderire a Italia Viva se solo l'ex premier desse qualche garanzie sul loro futuro politico.

 

Di certo c'è che, finora, a parte qualche timida apertura di Maria Elena Boschi, il partito di Renzi non ha chiarito se parteciperà con liste proprie alle elezioni regionali che si terranno da qui a maggio. Qualche indicazione in merito si avrà domenica, in occasione del discorso di chiusura dell'ex presidente del Consiglio. Chissà se ad ascoltarlo, in platea, ci sarà anche il tormentato Aieta.

Nessun dubbio invece sulla presenza del plenipotenziario di Renzi in Calabria, Ernesto Magorno. Il senatore non mancherà e al suo fianco dovrebbe ritrovarsi l'ex grillina Silvia Vono, Bianca Rende e, con buone probabilità, anche il giovane reggino Marco Schirripa.

Lo scambio con Bonaccini

Mentre i dem calabresi continuano a essere divisi, a Roma procedono intanto le trattative per un accordo con i 5 stelle. Il Pd vorrebbe confermare Stefano Bonaccini in Emilia Romagna, il cui nome dovrebbe finire nel simbolo elettorale.

Per ammorbire il M5S, Zingaretti sarebbe pronto a “cedere” ben due regioni, Campania e Calabria, dove a essere sacrificati sarebbero De Luca e lo stesso Oliverio. Uno schema che, se ufficializzato, farebbe crescere le quotazioni dei candidati scelti dai pentastellati per la Calabria, tra cui Pippo Callipo (oggi favorito), Ferdinando Laghi e Pino Masciari.




 

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