Tra domani e dopodomani, Nicola Fiorita dovrebbe essere atteso dal primo atto ufficiale da nuovo sindaco di Catanzaro: la proclamazione. Una formalità? Sì, in buona sostanza, anche se sarà costretto a iniziare l’onerosa avventura da primo cittadino esponendo le “linee guida” a un consiglio comunale che (almeno sulla carta) nella maggioranza delle sue unità non fa il tifo per lui. Ma quanto sarà zoppa l’anatra (termine con cui si definisce un consesso in cui chi ne è a capo ha la maggior parte dei membri di segno opposto e quindi formalmente contro) lo si verificherà proprio a partire da queste battute iniziali. Fiorita deve infatti subito trovare i numeri (leggasi anche e soprattutto gli accordi) per far eleggere un presidente dell’assemblea possibilmente non ostile e poi nominare vicesindaco e Giunta al netto dei due assessori (pre)incaricati mercoledì scorso, più o meno alla vigilia del ballottaggio, nelle persone dell’ex dirigente della Polizia di Stato Marinella Giordano (definita anche manager della Sicurezza) e del medico Bonaventura “Venturino” Lazzaro, delegato ai Servizi Sociali.

Il presidente del Consiglio, nodo gordiano

Il sindaco è il capo dell’Amministrazione, non ci piove. Ma a scandire l’andamento dei Consigli è il presidente dell’assemblea. E non è certo un dettaglio. Anzi. Ecco allora che se ad esempio l’inossidabile e scafato Sergio Abramo dal 2017 in avanti ha potuto contare sul fido Marco Polimeni e prim’ancora su un non altrettanto fedelissimo, però superaffidabile, Ivan Cardamone (legato a doppio filo a Mimmo Tallini), il leader di Cambiavento potrebbe adesso non godere del medesimo appoggio. L’obiettivo, quindi, è trovare una “figura amica” con la candidatura di un elemento d’area (difficile ma non impossibile) o, in subordine, dell’alleato del secondo turno Antonello Talerico (aspirante sindaco fermatosi al terzo posto e dunque uscito dalla competizione).

Quest’ultimo, comunque sia, non sarebbe notoriamente malleabile come uno dei pasdaran fiorotiani. Avrebbe, però. le carte in regola per essere preferito alla luce della preziosa dote che porta: un drappello di consiglieri pronti a correre in soccorso della minoranza su cui può attualmente, come premesso, contare un sindaco alle prese con la sgradita anatra zoppa. C’è tuttavia un’altra ipotesi, allo stato suggestiva tuttavia non peregrina. Un patto con quelli di Rinascita (intesa come coalizione e non lista), anche in virtù delle recentissime dichiarazioni a mezzo stampa e social di uno dei maggiorenti della coalizione donatiana, il presidente del consiglio regionale leghista Filippo Mancuso, che ha neppure poi tanto sibillinamente parlato di schieramento pronto ad assumere un atteggiamento (rivendicando tra le righe un ruolo) istituzionale. Un segnale chiaro di interesse per l’ambita poltrona? Si vedrà. Ma nel caso in cui fosse così, in pole c’è l’uomo di fiducia di Mancuso che risponde al nome di Eugenio Riccio. Un tempo scherzosamente e in perfetto slang catanzarese definito “u sindacu da Marina” per essere uno dei consiglieri più appezzati e votati nel quartiere Lido, di cui è peraltro stato “referente” su mandato di Abramo qualche anno fa. Senza contare che lo stesso sott’ufficiale dell’Arma ha ormai maturato una grande esperienza a Palazzo De Nobili, essendo ininterrottamente in carica dall’ormai lontano 2006.

La Giunta, altra patata bollente per Fiorita

In Esecutivo non entrerà alcun membro di Rinascita, salvo rotture clamorose comunque non alle viste. Un ingresso in Giunta suggella infatti un patto politico che nessuno dei donatiani (e dei loro danti causa) è disposto a sottoscrivere. Ecco allora che per la carica di numero due dell’Amministrazione sono altissime le quotazioni di Giuseppina “Giusi” Iemma. Presidente dell’assemblea regionale del Pd, nota cardiologa in servizio all’ospedale Pugliese e donna di spessore oltretutto per un soffio non entrata a Palazzo Campanella lo scorso 4 ottobre quando nella lista Dem nella Circoscrizione Centro venne preceduta da Ernesto Alecci e Raffaele Mammoliti.

Un modo, insomma, per ricompensare il partito di Enrico Letta per il sostegno incondizionato dato a Fiorita in fase di investitura al ruolo di alfiere del centrosinistra nella città dei Tre Colli e poi durante tutta la campagna elettorale. Senza contare che questa nomina aprirebbe le porte per fare il capogruppo Democrat al coordinatore cittadino del Pd, Fabio Celia, il quale a quel punto avrebbe una grande responsabilità ma anche un’altrettanta visibilità nel prossimo futuro. C’è poi da far scorrere le liste, diciamo così. E quindi possibile spazio a Daniela Palaia e Donatella Monteverdi per favorire una sorta di ripescaggio dei primi dei non eletti tra i fioritiani. Fine che sarebbe però perseguito pure con le designazione di due “spalle” di Fiorita quali Nunzio Belcaro, su tutti, ma anche il pentastellato Francesco Mardente, i quali non ce l’hanno fatta a guadagnare un posto in assemblea.

Come potrebbe governare il sindaco "zoppo": astensione strategica?  

Inutile ribadire la questione dei numeri mancanti in Consiglio a Nicola Fiorita, ormai spiegata in tutti i modi possibili e immaginabili. Il punto adesso è semmai quello di capire come ovvierà a tale deficit. La prima strada, più corta anche se inconfessabile, è di convincere qualcuno di Rinascita a tramutarsi da anatra in quaglia che salta dall’altra parte. Difficile ma nient’affatto impossibile. C’è poi il feeling con Talerico, e dunque con il suo gruppetto, che al di là di poter essere indicato quale presidente dell’Aula e di aver appoggiato l’attuale sindaco al ballottaggio, cinque anni fa si era addirittura candidato a consigliere in una lista fioritiana. C’è però anche chi accredita la tesi della terza via. Vale a dire della ferma intenzione di molti esponenti del fronte pro Donato di non rischiare di impiccarsi alla corda da soli andandosene a casa e rinunciando così a uno “stipendio” da favola in particolare per chi di mestiere non fa altro, e mai lo ha fatto, fuori da Palazzo De Nobili ricorrendo a una… astensione costruttiva. Che tradotto è un escamotage consistente nell’abbandonare l’assise al momento del voto in modo da far scendere drasticamente la soglia della maggioranza utile a far passare le pratiche. Tutto giusto e perfetto, chiosando.