«La verità è che nei prossimi 10 giorni può succedere davvero di tutto». Uno dei calabresi che ha preso parte alla Direzione nazionale del Pd riassume così il disorientamento dei dem, rievocando – chissà se volutamente o meno – il titolo dell'opera di John Reed sulla Rivoluzione d'ottobre: “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”.

La relazione del segretario Enrico Letta, approvata all'unanimità, ha distillato certezze ma non ha dissolto le ansie e i dubbi legati ad alleanze – decisive per essere competitivi nei collegi maggioritari – e candidature.

Prima certezza: fine del campo largo con il M5S («nostri destini separati»), anche se Letta rivendica il lavoro di questi anni con gli stellati, perché, altrimenti, «non ci sarebbe stato il Governo Draghi».

La seconda: il Pd darà vita a una lista «democratica e progressista», aperta a chi ha condiviso il progetto delle Agorà, quindi Articolo uno e Demos. (Malignità di un altro calabrese rivolta al crotonese, e fedelissimo del ministro Speranza, Nico Stumpo: «Significa che sarà di nuovo candidato...»).

L'altro punto fermo è che la lista Ds «sarà votata dalla prossima Direzione nazionale», prevista tra il 9 e l'11 agosto.

No ai paracadutati

Un ruolo decisivo lo avranno i segretari regionali, tra cui il calabrese Nicola Irto, a cui toccherà il compito di raccogliere le proposte di candidature e quindi di presentare una rosa di papabili al segretario. Il loro lavoro istruttorio dovrà terminare «il 2 di agosto». Ed ecco spiegato perché i prossimi 10 giorni potrebbero riservare sorprese o amare delusioni.

Letta sa che si tratta di una campagna elettorale «difficilissima» e che nel partito potranno «volare stracci». Ma l'ex premier assicura che farà di tutto «perché i nodi siano sciolti in una logica di interesse generale».

«La partita – riflette un big del partito calabrese – si giocherà come sempre a Roma». Stavolta, però, non dovrebbero esserci “paracadutati”, cioè candidati estranei a territori. Una consuetudine che, nel recente passato, ha permesso l'elezione in Calabria della toscana Rosy Bindi o del lucano Alfredo D'Attorre.

Letta è chiaro: «Ci sono 30 collegi al Senato e 60 alla Camera da cui dipenderanno le elezioni. Siamo sotto di 5-6-7-8 punti, dobbiamo scegliere il candidato giusto. E la gente va a vedere se c'è il paracadute oppure no».

Le alleanze

Ancora incerte, invece, le alleanze. Renzi ha già annunciato la corsa solitaria, mentre il dialogo con Calenda è ancora aperto.

Letta, che si è definito il «front runner della campagna» (ma la discussione sulla premiership è «surreale»), ha avuto il mandato di discutere con le forze politiche «fuori dal trio della irresponsabilità», cioè M5S, Lega e Fi, nella consapevolezza che la partita è tra il Pd e Giorgia Meloni: «Non c'è pareggio: o vince l'Italia comunitaria, oppure vince l'Europa dei nazionalismi».

Tocca ai segretari regionali

La palla passa ora ai segretari regionali. Compito non facile, il loro. In Calabria sono in tanti ad aspirare a una candidatura in posizione utile. Ci sono gli uscenti, Antonio Viscomi ed Enza Bruno Bossio, e poi c'è lo stesso Irto, che dovrebbe trovare un posto (blindato) nel listino proporzionale. Il regolamento per le candidature, appena approvato dalla Direzione nazionale, impedisce però ai «componenti degli organismi esecutivi e assembleari delle Regioni» di scendere in campo, a meno che il partito, su richiesta del segretario, non conceda una «deroga espressa».

Irto, che è consigliere regionale, dovrebbe ottenerla senza alcun problema. È da vedere, invece, se l'eccezione varrà anche per gli altri due eletti di Palazzo Campanella che aspirano a un posto per il Parlamento, Mimmo Bevacqua ed Ernesto Alecci.

I prossimi dieci giorni rischiano di sconvolgere il Pd. Perché, lo ha detto anche Letta, «tante persone saranno scontente tra due settimane».