Anche in Calabria non cambia il trend iniziato alle politiche del 2018, proseguito alle Europee e nel primo turno delle Amministrative del 26 maggio scorso. Soltanto chi è capace di esprimere tensione al cambiamento riesce a spuntarla. Le sigle tradizionali però ancora non sembrano cogliere fino in fondo questa tendenza e rimangono prigioniere delle lotte intestine
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Continuano a essere bocciati i partiti tradizionali e la vecchia nomenclatura. Anche i ballottaggi confermano il trend iniziato in Calabria alle politiche del 2018 e confermato alle europee dello scorso 26 maggio. I calabresi sembrano stufi delle vecchie gestioni e, quando possono, scelgono la novità. Lo hanno fatto con i Cinquestelle alle politiche, con la Lega alle europee e nei vari Comuni dove ne hanno avuto la possibilità.
Emblematico, al primo turno, il caso di Riace dove Mimmo Lucano è stato sconfitto dal sindaco sostenuto dalla Lega di Matteo Salvini.
Una linea che trova conferma anche con i ballottaggi.
A Rossano Corigliano non può interpretarsi in altro modo la vittoria di Flavio Stasi, che sicuramente rappresentava una novità nel panorama del nuovo Comune calabrese, contro una vecchia gloria come Giuseppe Graziano, ex componente dell'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale e appoggiato da una coalizione piuttosto trasversale.
Il ragionamento vale anche a Rende, dove Manna ha avuto la meglio su Principe. Certamente la novità legata a Manna, uscente, è assai relativa, ma sicuramente percepibile se rapportata al tentativo di Principe, appoggiato da un raggruppamento di partiti e big buoni per ogni stagione, allargatosi ancora di più quando, in occasione del ballottaggio, anche gli esclusi Talarico e Tursi Prato si sono uniti alla sua squadra.
E poco ha da intestarsi la vittoria Forza Italia, considerati i flirt precedenti alle elezioni che lo stesso Manna ha avuto prima di sciogliere le riserve sulla sua candidatura.
Anche a Gioia Tauro, dove la sfida non trasudava certo inediti candidati, a vincere è Aldo Alessio che, in qualche modo, è sembrato fuori dagli schemi tradizionali nonostante il lungo passato alla guida del Comune.
Montalto Uffugo ha premiato l'uscente, ma la sensazione non muta e trova plastica conferma nella circostanza che nella stragrande dei Comuni calabresi, sia al primo che al secondo turno, i candidati hanno preferito fare a meno dei simboli di partito, ritenuti ingombranti e divisivi.
Tra europee e amministrative, insomma, il campanello d'allarme per i simboli tradizionali (Fi, Pd, Udc e compagnia) è suonato forte e chiaro. E male, anzi malissimo fa, chi si scaglia contro l'elettorato delle Regioni meridionali che ha tributato consenso a Matteo Salvini e a un partito che per lunghi anni ha avuto la secessione come obiettivo primario della propria strategia politica.
Evidentemente i danni e il malcontento provocato da chi, almeno a parole, avrebbe sempre difeso il Sud, hanno avuto l'effetto di spingere i cittadini a cercare in ogni caso un nuovo corso.
Non sembra, però, che i leader locali abbiano percepito nulla del sommovimento in essere. Forza Italia, sorda ai richiami degli alleati e anche dei vertici nazionali, insiste su Mario Occhiuto. Il Pd, invece, forse qualcosa vuol provare a fare, ma è troppo impantanato nei giochi interni tra fazioni nemiche per liberarsi di Mario Oliverio senza scatenare una guerra fratricida.
Attesa, dunque, per gli appuntamenti che entrambi i partiti hanno fissato per la settimana. Forza Italia per insistere su Occhiuto, il Pd per provare a fare il punto dopo il voto. Senza slanci nuovi, però, crescono le possibilità che in vista delle regionali le sorprese possano essere numerose.