I calabresi non vogliono sentir parlare di agenda Draghi. Il trionfo del M5S, primo partito in regione con il 29,4%, unito al risultato di Fdi (19%), consegna una prima verità: le due forze che, con tempi e modi molto diversi tra loro, si sono caratterizzate come le più antitetiche rispetto al governo di unità nazionale arriverebbero, insieme, quasi al 50% dei voti. Il dato diventa ancora più significativo se si aggiunge il risultato di Forza Italia, il partito che, insieme alla Lega, ha tolto la spina al Governo pur senza distaccarsene troppo, dal punto di vista del programma, in campagna elettorale.

Quello berlusconiano è la terza forza in Calabria, con quasi il 16% delle preferenze. Numeri simili a quelli ottenuti alle ultime Regionali che hanno incoronato governatore Roberto Occhiuto. Il no all’agenda del premier racconta però solo in parte l’esito delle elezioni politiche.

L’exploit del M5S

L’exploit del M5S non si può spiegare solo con il rifiuto delle politiche draghiane. Così come avvenuto nel 2018, è invece l’effetto della nuova tendenza meridionale che coniuga pulsioni protestatarie e anti-sistema con istinti di mera conservazione personale. Chi ha votato Conte, in Calabria, ha voluto, da una parte, marcare una certa, supposta, diversità politica rispetto alla partitocrazia romana; dall’altra ha difeso con la scheda elettorale un presidio di sopravvivenza come il reddito di cittadinanza.

Il peso del rdc

Mai come stavolta i programmi elettorali hanno avuto il loro peso. Il rdc ha segnato il vero discrimine in queste elezioni: l’inflessibilità di Meloni circa la necessità di abolirlo ha inevitabilmente impedito a Fdi di fare il botto anche in Calabria e ha gonfiato le vele al M5S.

I 5 stelle sono andati oltre ogni previsione. Da soli hanno conteso quasi tutti e sette i collegi maggioritari all’intera coalizione di centrodestra. E in un caso, clamoroso, sono riusciti a spuntarla: a Cosenza, dove a soccombere sotto i colpi delle truppe pentastellate guidate da Anna Laura Orrico è stato il forzista Andrea Gentile.

Il tonfo del deputato uscente è significativo perché rappresenta una delle poche note stonate nella notte magica di Fi, peraltro nella provincia che esprime il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, nonché il consigliere più votato alle consultazioni di ottobre, Gianluca Gallo. I dati dicono che nel collegio bruzio, dove Fi, con il 13,6%, è andato sotto la media regionale, qualcosa non ha funzionato.

La regione più azzurra d’Italia

Occhiuto e il coordinatore regionale Giuseppe Mangialavori hanno però avuto buon gioco nel celebrare la Calabria come la regione più azzurra d’Italia. La performance dei berlusconiani, in netta controtendenza rispetto al dato nazionale (8%), evidenzia con nettezza il potere dell’apparato, del voto organizzato che è altra cosa rispetto a quello d’opinione. Occhiuto, che aveva personalizzato la sfida trasformandola in un referendum sul suo operato da governatore, non ha lesinato sforzi, finendo per incidere non poco sul risultato finale. È indubbiamente uno dei vincitori del 25 settembre e la sua azione in Cittadella non potrà che uscirne rafforzata.

La delusione del Pd

Il Pd calabrese si ferma al 14%, stesso dato del 2018, e va sotto il già deludente dato nazionale (19%). La nuova segreteria regionale di Nicola Irto non è insomma riuscita a imprimere una svolta rispetto al passato. E ora, inevitabilmente, il punto di riferimento privilegiato dei progressisti calabresi è il Movimento di Conte. I dem sorridono solo per l’elezione dello stesso Irto (Senato) e di Nico Stumpo (Camera). Troppo poco per un partito che, dopo il congresso di pochi mesi fa, sperava in una grande operazione rilancio.

La nuova segreteria regionale di Nicola Irto non è insomma riuscita a imprimere una svolta rispetto al passato, anche per via dell’adesione di Letta all’agenda Draghi.

Flop di Salvini e Calenda

Il flop di Salvini esula dalle questioni regionali, perché certifica il fallimento della sua Lega nazionale e apre una nuova stagione congressuale nel Carroccio. Una stagione al termine della quale l’ex ministro dell’Interno potrebbe essere costretto a lasciare la segreteria a tutto vantaggio del cartello dei governatori del Nord. La debacle calabrese è ancora più bruciante perché l’ex ministro ci aveva messo la faccia, candidandosi, senza poi essere eletto, come capolista al Senato.

E che questa non sia una regione per draghiani lo conferma il risultato del Terzo polo. Il 4,1% è un altro mondo rispetto al dato nazionale (7,7%) e dimostra che la ricetta di Calenda non ha fatto presa sui calabresi. Colpa di Draghi, ma non solo.