Mancano ancora due mesi abbondanti alle Regionali, ma all’interno di entrambi gli schieramenti c’è un serio problema con cui fare i conti. Il riferimento è al profilo dei quadri dirigenziali e ai candidati di quasi tutti i partiti. Perché hai voglia a rispolverare aggettivi quali "Nuovo" o sigle come "4.0", ma se a dare le carte (leggasi ordini e direttive) restano figure vecchie, ingombranti o peggio impresentabili, le anime candide simili a “figurine del presepe” all’uopo messe a rappresentare la discontinuità rispetto al passato somigliano tanto a specchietti per allodole. Un modo per alzare una cortina fumogena davanti agli occhi degli elettori.

Il centrosinistra

Basti pensare nel centrosinistra, da cui inizia questo ragionamento,all’uscita pubblica di ieri nel quartiere Lido di Catanzaro dell’aspirante governatore Amalia Bruni con accanto a sé il segretario regionale del Psi Luigi Incarnatoarrestato nella maxi-operazione contro la ’ndrangheta Rinascita Scott. Un dirigente che, per carità, potrà dimostrare la sua estraneità alle riprovevoli condotte a lui ascritte nello stesso processo al pari degli altri imputati per come peraltro prevede la legislazione italiana, ci mancherebbe, ma allo stato non il migliore degli “uomini immagine” insieme a cui accompagnarsi sbandierando il tanto decantato rinnovamento.

E che dire, inoltre, del caos in casa Pd, soprattutto in cima ai Tre Colli, dov’è scoppiata la polemica sul tesseramento. Una campagna, ancora al via, però già viziata da polemiche su alcuni ingressi eccellenti (in un certo senso ritorni) quali ad esempio quello del consigliere regionale in carica Francesco Pitaro. Tanto che la vera discussione è su un aspetto di cui non si parla apertamente. Di che si tratta? Semplice: nell’area di Pd e Psi hanno capito che senza i voti a confortare la coalizione si rischia la disfatta più totale: arrivare, cioè, non soltanto dietro al centrodestra bensì pure al fronte guidato dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

Uno smacco epocale che si può evitare esclusivamente ottenendo i consensi non certo detenuti dai “giovanotti di belle speranze” messi a gestire il livello cittadino e in parte provinciale. Gente che però non è sprovveduta, avendo cominciato a compiere una serie di astute manovre per liberarsi del peso, o almeno alleggerirlo, da cui sono zavorrati. Il più classico dei parricidi politici, insomma. Che non riguarda un centrodestra dove ci sarebbe invece un accordo fra un vertice minato da inchieste e brutte storie con la conseguenza della scelta di volti nuovi a cui affidare ruoli, pur importanti, ma unicamente connessi alla dimensione pubblica.

Il centrodestra

Tanto a sinistra quanto a destra c’è dunque bisogno di un maquillage, una consistente mano di vernice perché qualsiasi forma di cambiamento, anche radicale, nei partiti quasi mai fa rima con rivoluzione. Tutti tendono infatti a conservare e salvaguardare l’esistente. Altro che mandare a casa chi ha sbagliato, talvolta anche in maniera grave. Meglio, se necessario, metterlo a lavorare nell’ombra in una condizione più indisturbata e agevole di prima. Sarebbe il caso di Forza Italia, dicono i soliti boatos, in cui la partita per blindare la candidatura a presidente di Roberto Occhiuto si gioca in vari ambiti e stanze… di segreterie locali.

Nessun patto, viceversa, all’interno di Fratelli d’Italia dove l’arrivo dei fuoriusciti di Fi a cui riservare corsie preferenziali ha fatto storcere la bocca a chi si è fin qui speso per diffondere il “verbo meloniano” sui territori. Esponenti che hanno in breve tempo riempito le scarpe di sassolini. Pietre che vorrebbero togliersi alla svelta.