VIDEO | Il Carroccio sta affrontando un delicato momento di transizione che vede i militanti storici scagliarsi contro la gestione del partito. Chi esce, chi entra e chi è in bilico
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A dispetto dell’immagine di un partito in salute, la Lega Calabria sta affrontando un delicato momento di transizione interna. La presenza di Matteo Salvini in Calabria, che ha scelto di unire l’utile al dilettevole, serve anche per rilanciare, anche attraverso i gazebo referendari, un partito che rischia di passare dall’exploit delle Europee del 2019, quando raccolse il 22,6% delle preferenze, ad un flop clamoroso alle imminenti regionali.
D’altra parte i problemi interni ci sono, sono evidenti e vengono da lontano. L’autosospensione di massa annunciata lo scorso fine settimana dai 300 firmatari di una lunga lettera al leader Matteo Salvini è solo l’ultimo campanello d’allarme. E si configura come un J’accuse in piena regola nei confronti dell’attuale Commissario regionale, Giacomo Saccomanno, e non disdegna di criticare anche il nuovo approccio della Lega ai grandi temi nazionali che hanno fatto da traino alla propaggine calabrese del Carroccio.
Mal di pancia diffusi
La geografia del dissenso in Calabria, d’altra parte, è omogenea. Non c’è una provincia in cui non si siano registrati mugugni, mal di pancia e abbandoni, anche clamorosi, legati alle attese tradite da un partito che professava un nuovo modo di fare politica, fondato su meritocrazia e competenza, e che col tempo – è l’accusa della base della prima ora - si è trasformato in una sorta di struttura corporativa. Abbandoni, in alcuni casi, dettati anche da convenienze politico elettorali.
Un malcontento, se possibile, più importante della rabbia manifestata a inizio anno dalla metà dei responsabili territoriali del Carroccio e che oggi rende equivoca la posizione del Commissario regionale che deve contare le defezioni, da Cosenza a Crotone, da Vibo a Catanzaro passando per Reggio.
E se già all’indomani delle scorse regionali si parlava di speranze e aspettative tradite, rispetto a quel progetto nuovo promesso dal Carroccio, oggi molti di quelli che hanno avuto ruoli territoriali, interpretando il disegno del segretario, alzano bandiera bianca, in quanto sostituiti - umiliandone l’azione politica, sottolineano loro, e il sacrificio degli inizi - e tenuti fuori dalle scelte che riguardano gli organi regionali che invece hanno favorito nuove entrate, per molti senza un reale motivo politico.
I motivi del dissenso
Ciò che manca oggi, proprio quando il partito aveva cominciato a radicarsi, per i dissidenti, è proprio lo spirito degli inizi. La promessa di rinnovamento che si è scontrata con la “conquista” del potere, e cioè da quando la Regione è a guida leghista, con il facente funzioni Nino Spirlì, in seguito alla prematura morte di Jole Santelli.
«Oggi – si legge nel documento degli autosospesi di Cosenza - si assiste a nomine di dirigenti a vario livello del partito, ma anche nomine in enti locali e aziende partecipate, sparpagliate, disorganiche che hanno un denominatore comune: allontanare e tenere al margine della gestione della Lega Calabria i fondatori, i militanti della prima ora, iscritti militanti in favore di persone transfughe da altri partiti, professionisti del lobbismo, personaggi di fama dubbia, fino ai volgari profittatori, anche in spregio allo statuto del partito che viene allegra-mente calpestato».
Un pensiero che accomuna tutti quelli che dalla Lega stanno prendendo le distanze: la militanza tradita, le scelte politiche che vedono ingrossare le fila della Lega con personaggi riciclati che guideranno le liste alle prossime regionali, insieme ad una gestione commissariale ad oltranza, e la contestazione al cerchio magico riunito alla corte di Spirlì, stanno insomma indebolendo la Lega che col suo leader dovrà affrontare seriamente una crisi che potrebbe rivelarsi irreversibile.
Verso le Regionali
L’emorragia del consenso, poi, la si ritrova anche nei numeri, questi nazionali, che portano la Lega dal 33% registrato all’epoca del primo governo Conte, al 20% dei giorni nostri, con Fratelli d’Italia a insediare il primo posto nel gradimento degli elettori. A livello locale poi, i più critici ipotizzano addirittura un dimezzamento delle preferenze. Il periodo di grande transizione per il partito fa rima con uscite di peso e ingressi osteggiati.
Vanno in questo senso ricordate le manovre in uscita tentate da Tilde Minasi, i cui contatti con Fratelli d’Italia non sono più un mistero – e quelle in entrate che hanno riguardato Nicola Paris, eletto nel 2020 con l’Udc, per il tramite di Nino Spirlì. La partita era praticamente chiusa e Paris sarebbe stato tra i candidati della Lega, ma poi le cose, complice il provvedimento giudiziario che l’ha colpito pochi giorni fa, è saltato. Sarà invece della partita Giuseppe Gelardi, già candidato nell’Udc alle scorse regionali, e sostenuto da Gigi Fedele.
A Cosenza, la presenza ingombrante di Molinaro in termini di preferenze, ha spinto Luigi Novello a scegliere l’Udc. A Catanzaro sembra confermata la candidatura di Mancuso, sostenuto da Abramo, ma la Lega nel capoluogo ha perso Antonio Chiefalo, commissario provinciale della Lega all’epoca della gestione regionale di Domenico Furgiuele nel 2018 e già candidato alle scorse regionali, che è approdato in Forza Italia, a cui si aggiunge Salvatore Gaetano che sarà il candidato degli azzurri del crotonese. Ma nel catanzarese erano già usciti anche Franco Iona, già candidato alla Camera nel 2018, l’ex Sindaco di Gizzeria, Aldo Cerra, l’ex coordinatore giovani leghisti di Catanzaro, Salvatore Caliò (così come nel reggino il giovane Carmine Bruno), il consigliere comunale di Chiaravalle, Sergio Garieri e l’assessore comunale di Petrizzi, Antonio Provenzale.
La contestazione più vigorosa riguarda l’impossibilità di un confronto interno e di dialogo in generale. Che insomma al Capitano siano riferite verità non aderenti con la realtà territoriale della Lega, così da spingere Salvini a scelte azzardate o considerate sbagliate. Ma – assicurano i dissidenti che accusano il lievitare di personalismi – alla fine è il territorio a decidere le sorti di un partito.