Nunzia Coppedè è alla guida della Fish Calabria da oltre venti anni. Energica e battagliera, nonostante il garbo e la dolcezza che la contraddistingue, da tempo fa da pungolo e si espone per i diritti di chi soffre di una disabilità fisica e mentale, trovandosi spesso di fronte a muri di gomma. Gli ultimi due anni, quelli caratterizzati dal Covid, sono stati molto duri e pieni di ostacoli per chi, già fragile, si è trovato ad essere calato a volte tout court in percorsi normativi non adatti se non escludenti.

Ora che per la Regione Calabria si apre un nuovo corso, Coppedè ha scritto una lettera ai futuri candidati chiedendo impegni certi su concetti chiave, elaborando strategie che tengano conto delle persone a cui sono destinate e che lascino la teoria per approdare a pratiche ben più ottimizzanti.

«Chiediamo di adottare lo slogan “La Persona Al Centro” che sta a significare che tutto ciò che si progetta, attua e realizza deve avere come obiettivo principale la migliore qualità di vita possibile per le persone destinatarie ed il rispetto della loro dignità- chiarisce nella lettera - Vogliamo un futuro che non si limiti a ripristinare la situazione ante-pandemia, ma contribuisca a costruire un nuovo modello di sviluppo equo, inclusivo e sostenibile che parte dalla elaborazione del progetto individuale della persona». «La redazione di un progetto di vita individuale e personalizzato nel rispetto dell’articolo 14 della L. 328/2000 deve divenire un atto concreto e una modalità operativa ordinaria in tutte le “latitudini” della Calabria», rimarca ancora la presidente.

Ecco alcuni dei punti per i quali Coppedè chiede serietà e impegno.

Scuola

Che gli alunni con disabilità della Calabria possano accedere all’educazione ed istruzione secondo i giusti e personalizzati supporti, sostegni e strategie che li pongano nelle condizioni di pari opportunità rispetto ai loro compagni e la garanzia che i servizi di sostegno funzionino dal primo all’ultimo giorno di scuola come già accade in altre regioni italiane

Il lavoro

Molte persone con disabilità possono lavorare e partecipare da protagonisti allo sviluppo economico e sociale del Paese e pertanto si richiede un formale impegno a creare concrete opportunità, dando piena applicazione alla Legge 68/99 e potenziando il sistema di formazione professionale. Parimenti vanno potenziate altre misure come i Tirocini di Inclusione Sociale o altre tipologie di intervento che consentano un approccio anche graduale al mondo del lavoro.

La vita indipendente

Negli ultimi sette anni molti ambiti comunali della Calabria hanno partecipato al bando per i progetti sperimentali per la vita indipendente ma non tutti hanno avviato le procedure per la realizzazione dei progetti e i fondi sono disponibili nelle casse del comune. La vita indipendente permette alle persone con disabilità uno stile di vita che favorisce la propria personale realizzazione, una situazione di benessere e la possibilità di una piena partecipazione alla vita sociale. Vi proponiamo di farla diventare una scelta prioritaria nella programmazione delle attività sociali delle amministrazioni comunali, in primis avviando i progetti in attesa di essere realizzati e promuovendo l’eventuale continuità dei progetti avviati.

  Il “dopo di noi”

Il “dopo di noi” è il luogo in cui la persona con disabilità può abitare quando la famiglia non c’è più o non riesce più ad assistere il proprio congiunto. Purtroppo l’allegato “A” del regolamento regionale 502 del 2019, nel punto dove definisce la Casa Famiglia dopo di Noi, tradisce i principi fondanti della Legge nazionale 112/2016 recante “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare e destina il servizio a persone con “disabilità lievi”, chiediamo la modifica della definizione e dei requisiti, perché con il personale previsto le persone con grave disabilità non potranno essere accolte.

Il diritto alla salute

Il diritto alla salute per chi vive in Calabria non deve essere per sempre una utopia, siamo ormai commissariati da quindici anni, le persone con disabilità e le loro famiglie sono senz’altro tra le categorie che pagano il prezzo maggiore di questo abbandono. La pandemia ha messo in evidenza tutte le lacune del nostro sistema sanitario, il cambio di colori legato alla mancanza dei servizi e non al numero delle persone positive. È necessario restituire la responsabilità della salute dei calabresi alla Regione Calabria, avere interlocutori chiari a cui rivolgersi, avviare processi partecipati finalizzati alla realizzazione di un sistema sanitario adeguato ai bisogni della Regione.

I servizi

La Calabria in alcune aree ha molti servizi e in altre non ne ha affatto: è un’organizzazione a macchia di leopardo, i servizi preesistenti devono essere ripensati in modo da evitare che le persone si debbano adattare ai servizi, in quanto sono i servizi che invece si devono adattare alle persone, attraverso lo strumento della progettazione individualizzata. Occorre predisporre norme atte ad attuare una progressiva deistituzionalizzazione e contrasto ad ogni forma di segregazione e emarginazione sociale, nonché a prevenire episodi di violenze e maltrattamenti. L’integrazione socio sanitaria non è più rinviabile, l’offerta dei servizi deve comprendere sia il fabbisogno sanitario che sociale nel rispetto delle relazioni sociali e comunitarie della persona. I fondi per la non autosufficienza finalizzati all’assistenza domiciliare integrata, o/e sociale devono essere spesi con urgenza dai comuni, siamo ancora fermi ai fondi del 2015 e con i fondi ancora non spesi in alcuni casi del 2014 e 2013.

«Nel corso degli anni - si legge ancora nel documento - si è registrato un aumento progressivo della richiesta di compartecipazione al costo da parte delle famiglie per le prestazioni sociali agevolate, ovvero per tutti quei servizi e supporti essenziali per una buona qualità di vita delle persone con disabilità. Si ritiene che laddove sia prevista la compartecipazione al costo dei servizi da parte delle famiglie, anche in base all’Isee, la stessa debba essere sempre di natura simbolica e quindi fissata in misura ridotta e sostenibile per la famiglia stessa, altrimenti non si tratta più di una compartecipazione, bensì del mero camuffamento del pagamento di una prestazione».