Nei partiti e movimenti molti maggiorenti ed esponenti di spicco sembrano stanchi di essere messi in ombra rispetto ai loro colleghi delle altre realtà calabresi. La classe politica catanzarese prova ad avere uno scatto d'orgoglio in vista del rinnovo del Parlamento del prossimo 25 settembre
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È proprio una cattiva stella, quella di Catanzaro. Che sembra in parecchi vogliano - in primis in Calabria rispetto a Roma - marginalizzare sempre di più. Sarà per questo che molti in cima ai Tre Colli, tanto da un parte quanto dall’altra, si stanno muovendo per (ri)stabilire un minimo di equilibrio sotto vari aspetti in vista delle Politiche del prossimo 25 settembre in cui peraltro, dopo la riforma costituzionale del recente passato, la regione esprimerà poco più della metà dei parlamentari in rapporto a quanto avveniva prima: 19, quindi, e non più 30.
Tutto ciò in virtù, naturalmente, del taglio complessivo con una scrematura che fa abbassare il contingente dei componenti di Montecitorio e Palazzo Madama da 945 a 600, esclusa come ovvio la piccola pattuglia dei senatori a vita. La quota calabrese è ricavata, al pari delle altre, in ragione della popolazione locale censita circa 12 anni fa. Comunque sia, dei nuovi onorevoli e senatori, 13 saranno i deputati, dei quali 5 scelti dagli elettori nell’uninominale ovvero con il sistema maggioritario e il resto invece nel plurinominale con il proporzionale, mentre appena sei saranno i membri del Senato, di cui 2 verranno fuori con il maggioritario nell’uninominale.
Il collegio di Catanzaro (comprendente l’intera provincia) sarà il numero tre. Ma gli aspetti tecnici, come premesso, non spiegano affatto l’attivismo delle segreterie di partiti e movimenti di “ogni colore” e dei singoli dirigenti e maggiorenti di Catanzaro e dintorni per sventare il ventilato progetto di far seguire ad altri itinerari le mappe del potere reale. Sia nelle file del centrodestra (in cui almeno nel recente passato non sono mancate lamentele e accuse, esternate pubblicamente da big dello stesso schieramento) come adesso anche nel centrosinistra in cui si vuole far passare un concetto fondamentale.
Non basta a “ripagare tutto” l’ormai vuoto titolo di capoluogo di regione (pennacchio spendibile sulla carta e oltretutto quasi inutile dopo l’importante conferimento dello status di Città Metropolitana a Reggio, unica in Italia a esserlo da capoluogo di provincia) se un territorio un tempo baricentrico continua a restare in ombra. O meglio, assai lontano da strade principali che conducono non solo alla citata Reggio, o a Cosenza, bensì pure a Vibo, Crotone, Lamezia e Soverato.
Una strategia di progressiva marginalizzazione di Catanzaro che è stata peraltro possibile, semmai sarà acclarata anche da riscontri successivi all’appuntamento chiave con le urne di inizio autunno, grazie allo sfruttamento della debolezza della mentalità della vecchia classe dirigente cittadina (non unicamente in ambito politico, per la verità), oltretutto ereditata da vari esponenti dell’attuale, che ha storicamente ragionato poco in termini di crescita collettiva (attuando un proficuo gioco di squadra) e parecchio di più sotto il profilo dell’avanzamento personale.
Ergo, alla sempre più periferica Catanzaro sono inevitabilmente via-via rimaste le briciole. E la riprova la si ha nella piccola rappresentanza di oggi, persino in Regione per non parlare dell’Esecutivo romano in cui è assente da molto tempo, rispetto al periodo d’oro in cui figuravano elementi di spicco tanto nella compagine governativa nazionale quanto in altre postazioni di potere reale.
Perché dopo i vari ex maggiorenti democristiani Agazio Loiero e Mario Tassone, nel primo decennio del Duemila, il capoluogo ha sostanzialmente ammainato bandiera. Ecco allora che, in attesa di capire come andranno le cose, soprattutto relativamente alle candidature, in particolare nel fronte a trazione Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, indicato da quasi tutti i sondaggi indipendenti, quantomeno allo stato, come favorito nella competizione c’è qualcuno che si è proiettato con la mente oltre, vale a dire a (ri)occupare una postazione da ministro o, almeno, da sottosegretario.