A Mario Oliverio dell’immagine del PD nazionale, dell’unità del PD, del futuro della sinistra, della paventata catastrofe di cui parlava Oddati nell’eventualità di una sua ricandidatura a Presidente della Regione non interessa niente. A Mario Oliverio, al suo regista Nicola Adamo, e allo stuolo di sostenitori, alcuni comodamente sistemati e lautamente pagati in strutture della Presidenza e dei vari assessorati, interessa una solo cosa: salvaguardare la proprio rendita personale di potere. Salvaguardare la propria specie. Onestamente fanno sorridere le difese di alcuni “coerenti” e strenui difensori della pretesa masochistica di andare incontro alla sconfitta certa riproponendo la candidatura di Oliverio a tutti i costi, nonostante siano perfettamente consapevoli del fallimento storico dell’azione di governo dell’attuale giunta regionale.

 

Lo sanno bene, ma si dilettano a discettare  in lunghe e “appassionate” riflessioni facebookkiane per giustificare a se stessi e agli altri la giustezza di una linea indifendibile. Risulta poi, ancor più paradossale e, per certi aspetti tragico comico, sciorinare analisi di stampo gramsciano  nel tentativo di dare dignità ad un obiettivo che, invece, di dignitoso non ha proprio niente, e cioè, difendere la sempre più ristretta tribù correntizia abbarbicata intorno a Mario Oliverio. Il cliché è ben sperimentato. Demonizzare, in perfetto stile stalinista, le voci critiche interne ed esterne al PD. Ed ecco che qualcuno se la prende con le testate giornalistiche che farebbero sponda alla Magistratura (sic), oppure con i rancorosi, addirittura qualcun’altro  se la prende con gli eterni numero due che non riescono a diventare primi. E ancora, peste e corna per coloro che non avrebbero il coraggio di sfidare il prode e coraggioso Governatore della Calabria. Oliverio, almeno secondo costoro, sarebbe l’eroe che sta salvando la Calabria e chi non ne riconosce i meriti sarebbe un traditore.

 

Qualcun’altro arriva a sostenere che l’attuale governatore della Regione sarebbe l’unico baluardo al salvinismo. E giù con accuse di trasformismo, di tradimento, di infamia indirizzate verso coloro che non celebrano le gesta del grande “conducator” calabrese. E cosi ridicola e sfrontata questa resistenza messa in atto dai soldati del “sistema” che, sinceramente, per la loro dedizione non si riesce a provare nient’altro che un’infinita tenerezza. Tenerezza e amarezza allo stesso tempo.  Una volta, ai tempi del PCI, c’erano gli ideologi, quelli cioè che spiegavano la dottrina la marxisista/leninista e la calavano nei territori e nel contesto politico e sociale. Oggi, che l’ideologia del “Sol dell’avvenir” è tramontata, anzi, per meglio dire, è stata fatti a pezzi proprio dalla generazione degli Oliverio e compagnia, sono rimasti gli ideologi della bottega. Le sentinelle della ditta. Una ditta che negli ultimi decenni ha garantito ai titolari, numerose legislature al Parlamento e al Consiglio Regionale. Solo che le sentinelle sono cieche, non riescono a prendere coscienza della grande truffa.  Verrebbe da dire a questi coraggiosi soldati: svegliatevi!  I mugnai hanno riempito solo ed esclusivamente i loro granai e alle sentinelle  della bottega, nel corso degli anni, al massimo  hanno concesso  qualche pugno di farina. E’ così difficile non vedere tutto ciò?   

 

La stampa, le voci critiche verso l’attuale governo regionale, hanno semplicemente evidenziato alcune demenziali scelte del Presidente, la vicenda di Spoleto è stata una delle tante. E’ appena il caso di ricordare l’imbarazzante e inutile kermesse alimentare da 800 mila euro con i tour operator tedeschi. I 9 milioni di euro elargiti alle compagnie aree per promuovere la Calabria. Il  milione di euro elargito ad RCS in occasione di Expo. Fermiamoci qui. Altrimenti questa riflessione diventerebbe il trattato delle costose sciocchezze alle quali nel corso di questi 5 anni ci ha abituato Mario Oliverio.

L’ultima dichiarazione del governatore, nella quale, di fatto, non intende riconoscere le indicazioni del segretario nazionale del suo partito, che lo ha invitato a fare un passo indietro, evidenziano la totale assenza di lucidità politica del Presidente della Regione.  In sostanza, Oliverio, nel respingere le indicazioni di Oddati e Zingaretti, intende riproporre l’antico grido dell’eroe biblico Sansone: “muoia Sansone con tutti i filistei”. La dichiarazione di Mario Oliverio riportata dall’Ansa, infatti, è il cupio dissolvi dell’uomo di partito così come lo abbiamo conosciuto nel corso della sua lunga carriera politica. Letteralmente, infatti, cupio dissolvi significa «desidero ardentemente essere sciolto (dal corpo)» – cioè morire. E cosa potrebbe essere quello dell’attuale Presidente della Regione se non un suicidio?  Oliverio come Sansone ha la sua “Dalila” che lo ha indotto a compiere errori clamorosi sul piano politico e amministrativo. “Dalila” lo ha addormentato, narcotizzato e i filistei lo hanno ucciso. Il presidente della Regione non vuole prendere consapevolezza che il crollo del suo consenso non è stata la Magistratura,  ma è stata la fisiologica conseguenza della sua inefficace azione di governo. Scelte e legami dissennati hanno prodotti disastri nelle politiche  su Agricoltura, Turismo, Cultura. Ogni speranza di riforma della Regione è stata affossata dalla logica del compromesso e del trasversalismo più spregiudicato.

 

La politica è stata umiliata e mortificata da una giunta di modesti burocrati. Tutto ciò per garantire il massimo del potere ad una ristretta cerchia del Pd. E ancora, ogni spazio di discussione e di confronto democratico è stato soffocato e affossato da un metodo di affermazione delle relazioni politiche che nel corso degli ultimi trent’anni ha distrutto i valori e il quadro di riferimento della sinistra storica calabrese. La classe politica del PD, quella stessa classe politica espressione della generazione di Oliverio,  è irredimibile, è cresciuta e si è consolidata intorno ad un consenso spregiudicatamente clientelare. Anche il presunto consenso derivante dai circoli del territorio è dopato da una forma subdola di clientelismo partitico, di tanto in tanto alimentato da un obsoleto ideologismo post Pci. Un deterrente nostalgico utilizzato per sedare la base dei militanti storici di fronte al rischio di focolai di ribellione. Dentro questo schema, dunque, le Primarie, sono diventate lo straordinario strumento per la conservazione e non per la innovazione del ceto politico, lo stesso ceto che ha sostanzialmente distrutto la sinistra calabrese. Invocare le primarie da parte di Oliverio, a questo punto, è un chiaro stratagemma per resistere alla linea di rinnovamento invocata dal segretario nazionale. Di fronte a tutto ciò, l’unica strada che ha di fronte Nicola Zingaretti è quella di imporre una radicale azione di rinnovamento, senza lasciarsi condizionare dai soliti giochi e giochetti che, per quanto insidiosi, sono assolutamente scontati, almeno per chi conosce la storia degli ultimi trent’anni della sinistra a queste latitudini.  

Pa.Mo.

 

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