Da sempre in prima linea per la promozione delle pari opportunità, l’esponente catanzarese del Partito democratico stigmatizza il rinvio dell’approvazione della nuova legge elettorale calabrese
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«Non stupirà il mio esprimere un profondo disappunto per l’ennesimo “colpo di mano” dilatorio su un testo di legge licenziato tre anni fa dalla Commissione affari istituzionali di Palazzo Campanella, ma su cui si discute da più consiliature.
Ieri la maggioranza, divenuta per l’occasione minoranza, ha votato in aula per il rinvio. Si, perché su 28 presenti, hanno votato a favore solo in 13 (con astensione delle destre), con il contentino di una ennesima vacua promessa di voto in un futuro non meglio circoscritto e senza nemmeno iniziare la discussione in aula.
Bisogna dirlo, le motivazioni formali addotte offerte oscillano dal teatrale al circense con Uffici tecnici oggetto di strumentalizzazione da giostrai e saltimbanchi della vecchia politica (al maschile) che ora si ergono a novelli costituzionalisti pur di bloccare una norma di progresso sociale e politico che ha trovato l’appoggio unanime ed espresso del mondo dell’impresa, dei sindacati regionali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), dell’accademia, della società civile. Lo chiamavano civismo.
E pensare che il 30 giugno 2015, il dirigente del servizio legislativo Sergio Lazzarino dichiarò durante la discussione in commissione del progetto di legge di non avere alcun rilievo da porre. La stessa commissione, presieduta dell’attuale relatore in aula Franco Sergio, non ebbe necessità di audire costituzionalisti, quelli veri o altri studiosi della materia. Era tutto tranquillo. Bei tempi.
Ora, invece, che il subentro della legge 20 del 2016 del Governo Renzi ha richiesto la modifica di un +10% di quota di genere nelle liste elettorali rispetto a quella prevista dalla proposta Sculco ha mandato tutti in comodo allarme.
Eppure è dettaglio sanabile con un apposito emendamento che ho contribuito io a predisporre ed è stato per tempo presentato da Arturo Bova, che la materia l’ha studiata.
Invece, nonostante la calendarizzazione della legge fissata un mese fa, i presunti e inconsistenti rilievi sono stati espressi (nemmeno formalmente, pare) dopo la fissazione degli ordini del giorno e durante la riunione dei capigruppo di ieri, su proposta di Romeo e con il placet della firmataria Sculco e del relatore Sergio che a più riprese nelle settimane precedenti ha manifestato la sua contrarietà alla legge (a differenza di ciò che dichiarò in commissione tre anni fa).
Quindi, pare lecito farsi qualche domanda: il relatore della legge è di maggioranza, di minoranza o solo una figura a garanzia di affossamento della norma? E perché il capo di un gruppo consiliare (Pd) che tra autosospensioni, trasformismi, nuovi gruppi e richieste di verifiche di maggioranza mai svoltesi, rilascia interviste dove con slancio dice “convintamente si!” all’approvazione della doppia preferenza, ha assunto il ruolo di “Capitan rinvio” con tanto di entusiastico “High Five” con Flora Sculco subito dopo il voto di ieri? C’entra la riunione a tre Oliverio-Sculco-Romeo di pochi giorni fa sulle regionali?»
Alessia Bausone - Pd