Se le promesse in politica avessero un valore assoluto dovrebbero essere queste le conseguenze delle parole dette da alcuni dei protagonisti della scena nazionale e regionale
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Di Maio si iscrive al Pd, Renzi lascia la politica e Oliverio non si ricandida. Se le parole spese in politica valessero davvero qualcosa, dovrebbero essere queste le conseguenze delle inequivocabili dichiarazioni di tre protagonisti della politica italiana, due nazionali e uno regionale. E invece nulla di tutto questo accadrà. Luigi Di Maio continuerà a guidare i Cinquestelle in collegamento via auricolare con la Casaleggio associati, Matteo Renzi continuerà a rottamare l’unica cosa che gli viene bene rottamare, il Partito democratico, e Mario Oliverio tornerà a fare capolino sulla scheda elettorale come da 40 anni a questa parte.
Cominciamo dal primo. Circola da qualche giorno il video di un comizio del 2017 durante il quale Di Maio assicura provocatoriamente che non sottoscriverà mai alcuna proposta di condono edilizio per Ischia, dove su 60mila residenti ci sono 28mila costruzioni abusive. «Se mai dovesse accadere mi iscrivo al Pd», promette solennemente. Epperò il condono per tre Comuni dell’isola d’Ischia, quelli colpiti dal terremoto del 2017, è stato infilato a sorpresa dal M5s nel Decreto legge per la ricostruzione a Genova dopo il crollo del ponte Morandi, attualmente in fase di conversione alla Camera. Non ci azzecca nulla con la tragedia del viadotto venuto giù dall’altra parte dell’Italia, eppure sta lì come un coniglio uscito dal cilindro. Dopo le durissime critiche di Legambiente, il provvedimento è stato definito in maniera pressoché unanime come una sanatoria a maglie larghissime che consentirebbe di regolarizzare anche ciò che i due precedenti condoni targati Berlusconi, quello del 1994 e del 2003, ritenevano insanabile perché in violazione dei vincoli paesaggistici e idrogeologici. Anche la Lega promette battaglia affinché venga eliminato dalla legge su Genova. Insomma, per tutti è un condono, tranne che per Di Maio, che a prendere la tessera del Pd ovviamente non ci pensa proprio.
Con Renzi il paradosso del dire una cosa e per poi farne un’altra è ancora più evidente, anche perché occasioni di rimangiarsi quanto detto ne ha avute di più. Nel giro di un anno, tra la fine del 2015 e la fine del 2016, sono innumerevoli, infatti, le volte in cui l’ex premier ha giurato, mano sul cuore, che avrebbe chiuso con la politica se non avesse vinto il Sì al referendum sulla riforma costituzionale. Una sequela interminabile di dichiarazioni, che l’Espresso raccolse in un articolo del 14 dicembre 2016, tutte dello stesso tenore: se perdo vado via. «Con quale faccia potrei restare?», si chiedeva con grande dignità il Matteo pre referendario. Le cose sono andate come sappiamo (ha vinto il No) e la risposta l’hanno data i fatti: Renzi è restato con la faccia di bronzo di sempre.
Infine, il presidente della Calabria Mario Oliverio. Nel 1980, ad appena 27 anni, era già consigliere regionale del Pci. Quella che per molti è l’ultima tappa di una lunga carriera politica, per lui era appena l’inizio. Da allora è stato anche sindaco, deputato per quattro legislature, membro del Consiglio d’Europa, presidente di Provincia e infine governatore della Calabria. Quando nel 2013 si candidò abbattendo le resistenze di Renzi con la sua forza elettorale, assicurò che sarebbe stata l’ultima volta, il suggello definitivo su una carriera politica che dura da mezzo secolo.
Promessa rimangiata di recente invitando a cena 200 sindaci che hanno accettato, obtorto collo, di “sottoscrivere” il famoso appello in vista delle elezioni 2019 per continuare l’esperienza di governo. E se la Calabria chiama, Oliverio risponde. Cosa volete che sia una promessa?