Il dato del referendum sulla fusione di Cosenza, Rende e Castrolibero alla fine è stato clamoroso. 10652 votanti a Rende, 10655 votanti a Cosenza e 3657 votanti a Castrolibero hanno detto ampiamente no al progetto incardinato dal centrodestra regionale. I numeri finali dicono che a Cosenza e si sono stati il ​​69,48% e no il 29,45. A Rende i si il 18,12% ei no l'81,43; a Castrolibero i si il 25,57 ei no il 73,81% In totale quindi il no ha vinto con il 56,81 (13166 voti) contro il 42,45 (9838 voti).

E davvero in pochi alla vigilia erano disposti a scommettere su un'affermazione così netta del no, anche perché il percorso verso la fusione dei tre comuni è davvero ineludibile. Quello che non ha convinto è stato evidentemente il progetto, ammesso ce ne fosse uno .

Un brutto colpo per l'attuale amministrazione regionale che si è fatta promotrice della proposta, nonostante il presidente della giunta, Roberto Occhiuto, abbia preferito rimanere sott'acqua. Non così il fratello, il senatore Mario, che ha cavalcato moltissimo le ragioni del sì con post e dichiarazioni quasi quotidiane.

A salvare il centrodestra regionale dalla clamorosa sconfitta è stato l'atteggiamento dell'opposizione che ha votato in linea con la maggioranza sulla proposta di legge di fusione con l'eccezione di Laghi e Tavernise che si sono astenuti e il no del consigliere del Misto, Antonio Lo Schiavo, in splendida solitudine. Quanto basta per far dire a Sandro Principe di essere dispiaciuto per l'atteggiamento del centrosinistra che avrebbe potuto fare una battaglia caratterizzante contro la destra sul punto.

Il problema di fondo è stata la partecipazione, fiacca anzi fiacchissima che non si può spiegare solo con il progressivo astensionismo che attanaglia la politica. Se questa, infatti, è dato dalla scarsa capacità dei partiti di interpretare le istanze della gente, in un meccanismo di partecipazione diretta come il referendum l'assioma non può reggere.

Ulteriore prova sono le differenze fra i territori nell'affluenza. A Rende e Castrolibero hanno votato poco meno di 15mila aventi diritto, cifra superiore al totale di Cosenza. Nello scarno dato cosentino ha pesato molto la posizione poco chiara dell'amministrazione comunale e di parte del Pd.

Prima il consiglio comunale ha vergato una delibera di contrarietà alla fusione, poi ha deciso di adire le vie del Tar per bloccare il referendum, infine il sindaco ha detto ai cittadini che avrebbe comunque votato si. Una posizione concordata col gruppo regionale del Pd e la locale Federazione ma che non ha convinto nessuno fino in fondo. Il risultato è stata la bassissima affluenza nella città che avrebbe avuto maggiore interesse alla fusione.

Il vero punto è stata la scarsa qualità della campagna referendaria che si è svolta quasi in un clima da stadio, senza offrire alla gente una visione della città del futuro. Non si è parlato di disegno urbanistico della nuova città; non si è fatto menzione delle funzioni da assegnare ai tre comuni; non si è parlato, nonostante la grossa crisi del trasporto pubblico, di come connettere, evaporata la metropolitana leggera e con l'Amaco fallita, i tre centri; non si è discusso di quali vantaggi, sui servizi o sulle tariffe, avrebbero avuto i cittadini. Pochi o quasi zero i numeri venuti fuori.

Colpa di come è stata impostata la legge che tagliando fuori dal processo i consigli comunali ha, di fatto, negato una discussione di merito sulle cose. La batosta referendaria, comunque, non fermerà il processo.

Innanzitutto bisogna vedere cosa farà la Regione. La legge attuale, modificata a colpi di omnibus, le permette tranquillamente di andare avanti. Sarebbe però un vero azzardo politico. Il punto è che i cittadini hanno detto una cosa chiara. Adesso bisogna fermarsi e rispondere ad una semplice domanda: mettiamoci insieme va bene, ma per fare cosa?