L’esponente dem calabrese stigmatizza l’esito della tornata elettorale ma punta il dito anche contro la componente femminile del partito: «Sono le prime ad accettare questa situazione di subordinazione»
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«Trentasei donne elette su 119 parlamentari Pd. Solo questo dato avrebbe dovuto motivare le dimissioni di Letta e dell'intero gruppo dirigente del Pd». Non usa mezzi termini Pina Condò, esponente Pd in passato molto vicina al presidente Mario Oliverio.
«La verità - continua - è che nel Pd si è affermata la cultura e la pratica del predicare bene e razzolare male». Poi, a sostegno delle sue argomentazioni, cita quelli che definisce esempi: «Il partito dei territori mentre Roma decideva; il partito comunità mentre le correnti l'hanno fatta da padrone; il partito del rinnovamento mentre al Governo sempre i soliti quattro; il partito - società mentre si realizzava la desertificazione sui territori; il partito riformista subalterno al populismo giustizialista e forcaiolo; il partito della parità di genere senza donne Ministro che riduce la presenza femminile in Parlamento».
Nella sua disamina non risparmia però le stesse donne del Pd, «che si sono accontentate di ruoli secondari pur di avere una semplice candidatura».
«E poi si creano le fazioni delle "democratiche" - continua - una specie di corporazione che di fatto sancisce la ghettizzazione delle donne...una cazzata pazzesca...la cui utilità si fa fatica a capire. La verità è che non c'è mai stata, da parte delle donne del Pd, una vera volontà nel battersi per affermare una reale cultura della parità di genere prescindendo da preoccupazioni di collocazione personale. È qui uno dei limiti enormi di questi anni».
Alla leadership dem, Condò imputa anche «la mancata riforma della legge elettorale»: «Una grave responsabilità del Pd è non avere preteso, anche nel rispetto degli accordi programmatici, sottoscritti al momento della costituzione del governo giallorosso (Conte 2), la modifica della legge elettorale. Evidentemente, con furbizia, si è preferito mantenere questa legge per autotutelarsi. Una legge elettorale proporzionale avrebbe, infatti, sicuramente previsto il metodo delle preferenze a cui buona parte del gruppo dirigente nazionale si è guardato bene dal sottoporsi».
Dunque, la stoccata finale: «Occorre rifondare un soggetto riformista, libero da vecchi schemi, da gabbie correntizie, da rancori per proiettarsi nel futuro significa affrontare con coraggio e senza schemi anche temi come questi oltre, naturalmente, alla capacità di mettere in campo una visione ed un progetto politico convincente e con forza attrattiva per milioni di donne, di uomini e di giovani. È un compito impegnativo ed una impresa complicata ma non impossibile».