La bolgia al Comune di Catanzaro non si placa. E se è normale che Jonny Corsi eserciti in Consiglio il suo ruolo di membro dell’opposizione, sparando a zero sul sindaco e l’intero centrodestra, non lo è altrettanto che pezzi della vecchia maggioranza facciano a pugni (metaforicamente parlando, s’intende) come nulla fosse. Assemblee, Commissioni, organi di stampa: ormai è tutto un terreno di scontro in cui cercare di regolare i conti. Altro dato da denotare nella rovente - non solo sotto il profilo metereologico - stagione estiva corrente in cima ai Tre Colli è il fuggifuggi generale di eletti a Palazzo De Nobili nel giugno 2017.
Le dimissioni, in pratica, non si contano più. Alcune giustificate da una serie di inchieste che hanno scosso l’ente rimasto in piedi esclusivamente grazie al “mestiere” e ai nervi saldi del sindaco Sergio Abramo - il quale mai rinuncerebbe a un mandato in corso, se non per assumerne uno migliore - altre invece quasi agevolate dal “comodo alibi” dell’accertamento giudiziario. La verità, però, è arcinota. Si sa infatti che a favorire il clima di guerriglia con qualche strategica fuoriuscita anticipata sia stata la profonda spaccatura determinatasi in seno alla maggioranza con il Mimmo Tallini contro tutti show. Punto.


Un’esibizione muscolare - quella del leader locale di Forza Italia pur alle prese con tanti problemi, anche di natura personale in seguito all’operazione antimafia Farmabusiness in cui è rimasto coinvolto - che ha sfidato non solo lo storico amico-nemico Sergio bensì pure il suo delfino prediletto: il presidente del consiglio Marco Polimeni e l’area (maggiorenti compresi, come ovvio) a cui entrambi fanno riferimento. Che se non fosse stata la stessa di Tallini non avrebbe prevenuto un terremoto politico fatto di mozioni di sfiducia e accordi con i membri dell’assise cittadina ostili all’inossidabile coppia Abramo-Polimeni.
Ma non è successo e allora in Comune si va avanti a strappi con circostanze, pure di una certa gravità, che restano appese e chissà se un giorno saranno mai chiarite. Si pensi ad esempio al curioso caso dell’ex vicesindaco e assessore al Patrimonio e alla Cultura Ivan Cardamone che – come ricordato da Corsi – «ha denunciato ai media indebite pressioni nell’esercizio delle funzioni assessorili tanto da rinunciare a parte delle deleghe, mantenendo unicamente la Cultura». Fatto che in un altro posto avrebbe quantomeno sollevato un vespaio di polemiche per giorni, se non persino dato il La a indagini formali.


Nel capoluogo invece niente. Il tutto è stato derubricato alla stregua di una boutade e Cardamone è rimasto addirittura al suo posto come nulla fosse, sebbene con un incarico meno in vista del precedente, mentre lui stesso (asseritamente oggetto di un pesante tentativo di condizionamento) e il sindaco sono passati sopra al resto. Quasi un «abbiamo scherzato, perché non ci avevate mica creduto, vero?», che rende la vicenda una specie di vuoto esercizio… di stile della politica.
Piccola eccezione al desolante scenario da fine consiliatura (si fa per dire perché mancherebbero almeno nove mesi alle elezioni e soprattutto poiché il panorama è questo da circa un paio d’anni) la lodevole scelta di Manuela Costanzo che, sebbene tra i beni confiscati alla ‘ndrangheta da acquisire al patrimonio comunale ce ne fossero alcuni del parente Girolamo (noto come Gino), ha votato sì nel civico consesso di avantieri alla pratica sulla medesima acquisizione.