«Una denuncia forte quella della Cisal, che ha invocato l’intervento dei vertici dell’Amministrazione Oliverio dopo la segnalazione di una funzionaria regionale di Vibo la quale ha stigmatizzato l’installazione non autorizzata di telecamere attraverso cui il personale e l’utenza esterna potrebbero essere controllati a distanza in modo del tutto abusivo e forse persino illegale. Ecco perché, al fine di riscontrare il rispetto della normativa e delle prerogative sindacali, la stessa Cisal ha subito chiesto un incontro al fine di avere chiarimenti in merito al servizio di videosorveglianza anche nella Cittadella Regionale. Lunedì scorso, però, è avvenuto un fatto sconcertante: nella seduta della delegazione trattante convocata dal dipartimento Organizzazione e Risorse Umane unicamente per l’avvio delle trattative “Ipotesi CIDA Comparto anno 2017” al termine dei lavori è stato presentato un “verbale di accordo” sulla videosorveglianza. Una proposta, neppure specificata nell’ordine del giorno della riunione, avanzata senza che i sindacati presenti fossero preventivamente avvisati a cui dunque si chiedeva implicitamente di sottoscrivere un atto già pronto.

 

Un modus operandi che, è bene ribadirlo, ha fatto il paio con la mancata risposta scritta rispetto all’istanza presentata dalla Cisal il 16 ottobre e finalizzata a ottenere una convocazione ad hoc sulla specifica tematica. È quindi d’obbligo porsi alcuni interrogativi: perché propinarci un verbale di accordo, con cui sarebbe fin troppo facile sanare ogni vulnus, a distanza di circa due anni e mezzo dall’ormai lontano luglio 2015 quando gli uffici regionali si trasferirono a Germaneto? Ed ancora: il datore di lavoro può installare telecamere senza il previo accordo con le rappresentanze sindacali? Un quesito, quest’ultimo, a cui ha peraltro di recente  risposto la III Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 22148/17, facendo chiarezza sui divieti posti dallo Statuto dei Lavoratori.

A riguardo va detto che in un articolo della normativa era sancito al primo comma un divieto assoluto di impiego di impianti audiovisivi e altre apparecchiature di controllo a distanza. Statuizione derogata al secondo comma, ma unicamente per “esigenze organizzative e produttive o di sicurezza” e dopo aver raggiunto un accordo obbligatorio con le rappresentanze sindacali dell’amministrazione,  eventualmente surrogate da Rsa di una qualsiasi altra unità produttiva della medesima. La parte datoriale, inoltre, avrebbe potuto fare richiesta direttamente all’Ispettorato provinciale del Lavoro, ma con la concessione del potere di impugnazione in capo ai sindacati o - in caso di mancato accordo - previa autorizzazione della competente Direzione Territoriale del Lavoro. La pronuncia della Cassazione evocata ha tuttavia stabilito come unico requisito richiesto l’intesa con i sindacati o, in alternativa, un’espressa autorizzazione della citata Dtl. Le ragioni sottese a tale decisione degli ermellini rispondono, in primis, al rispetto del principio di legalità e poi dell’interesse collettivo e superindividuale poiché nel caso di specie “la condotta datoriale di omissione dell’interlocuzione con i sindacati integra l’oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici”.

 

Senza contare che tale violazione o la mancata concessione del nullaosta della Dtl potrebbe essere censurabile ai sensi dello Statuto dei Lavoratori e del Codice di riservatezza e tutela dei dati personali. Un assunto che spiega con chiarezza come chi installa un sistema di riprese bypassando l’accordo con le rappresentanze sindacali danneggia gli interessi dei lavoratori, commettendo anche un illecito penale. Basti pensare alla lunga serie di adempimenti da espletare prima che la videosorveglianza sia messa in funzione: rispetto del D. Lgs. 196/03 (normativa sulla Privacy) e successivi Provvedimenti del Garante; obbligo di informare il personale ed eventuali ospiti o visitatori della presenza delle telecamere (anche mediante segnaletica esposta all’interno e all’esterno dell’edificio); obbligo di nominare un dipendente incaricato della gestione delle videoriprese che dovrà inderogabilmente partecipare alla visionatura del materiale girato.

 

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Registrazioni che potranno essere messe a disposizione delle autorità competenti esclusivamente a titolo di prova giudiziale di fronte a fatti penalmente rilevanti; precisa scelta dell’angolo di ripresa, che deve riguardare le aree più esposte al rischio di furti e rapine ma non può comprendere le postazioni;  divieto di utilizzare le immagini per accertare o contestare disciplinarmente la mancata diligenza del personale; adeguata custodia dell’apparecchiatura di ripresa e conservazione delle registrazioni per il tempo strettamente necessario (di regola non più di 24 ore). Ebbene, la mancata osservanza di tali prescrizioni comporta precise e gravi responsabilità per la parte datoriale. Motivo questo per cui bisogna porsi una domanda su un aspetto molto importante: assodato che l’attivazione della videosorveglianza necessita di un accordo previamente stipulato con i sindacati nel rispetto delle norme specifiche, bisognerà scollegarlo? Coprire le telecamere e svolgere al più presto tutti gli adempimenti di cui si è detto? A riguardo è lecito attendersi una seria e coerente assunzione di responsabilità quanto occorrerebbe su un tema tanto urgente e delicato, auspicando l’urgenza di una risposta seria, celere ed efficace da parte di tutti gli attori coinvolti a cominciare dal dirigente di settore “Datore di lavoro, Sicurezza sui luoghi di lavoro e Privacy” della Regione».