La lettera dei 4 parlamentari che si sono cosparsi il capo di cenere per i fallimentari risultati politici conseguiti dal Pollino allo Stretto, ha accelerato la caduta del M5s. Nonostante una pattuglia formata da ben 17 tra deputati e senatori, il Movimento sembra condannato a un ruolo sempre più marginale sia sulla scena regionale che nazionale
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Sempre più opache e tremolanti le stelle del Movimento in Calabria. Nonostante la pattuglia calabrese possa contare su ben diciassette - dicasi diciassette - parlamentari, un numero altissimo, non si percepisce alcuna forza politica, sia nell’ambito dei confini regionali che fuori.
In 17 potrebbero fare il bello e il cattivo tempo, non soltanto dal Pollino allo Stretto, ma anche a livello nazionale, in Parlamento. E invece procedono a gruppetti sparsi. Divisi e irrilevanti, apparentemente incapaci di offrire una valida alternativa a quelle forze politiche di destra e sinistra dalle quali, a livello regionale, hanno sempre preso le distanze, tanto altezzosi in Calabria quanto pronti al compromesso a Roma, dove sono passati dalla Lega al Pd senza batter ciglio.
Risulta ormai insanabile la frattura che si è consumata durante la campagna elettorale per le regionali, con il senatore Nicola Morra da una parte, che invitava a boicottare lo stesso candidato del Movimento, Francesco Aiello, e chi invece intendeva giocare la partita rispettando l’esito della consultazione sulla piattaforma Rousseau, nonostante le scarse possibilità di vittoria. Chance che sono state completamente annullate (nessun consigliere eletto) proprio dalla guerra civile combattuta tra morriani e anti-morriani.
Ieri, l’ultima battaglia, ha lasciato sul campo più morti che feriti. Ennesima pietra dello scandalo è stata la “strana” lettera aperta con cui quattro parlamentari, Francesco Sapia, Bianca Laura Granato, Giuseppe d’Ippolito e Paolo Parentela, hanno chiesto scusa ai calabresi per i risultati politici in Calabria. Un carnet vuoto «a causa di individualismi interni», hanno scritto cospargendosi il capo di cenere: «Abbiamo sbagliato tutto. Non abbiamo saputo fare gioco di squadra». E no, decisamente no.
La lettera continuava con una serie di buone intenzioni per cambiare registro, una sorta di programma della rinascita pentastellata in salsa calabrese che faceva leva su alcuni progetti evergreen, come un’ambiziosa No Tax Zone estesa a tutta la Calabria. In pratica una sorta di paradiso fiscale bagnato dallo Ionio e dal Tirreno che nessuno ha mai visto e probabilmente mai vedrà.
A guidare la pattuglia dei 4 pentiti pentastellati c’è proprio quel Paolo Parentela che Luigi Di Maio, allora capo politico del Movimento, preferì a Morra nel ruolo di coordinatore regionale in vista delle elezioni.
Scelta che scatenò la guerra intestina tra fazioni contrapposte di attivisti, fino alla diserzione vera e propria di molti in prossimità dell’appuntamento con le urne. Oggi, a distanza di 4 mesi e milioni di metri cubi d’acqua passata sotto i ponti, con il mondo che si è scoperto infetto e la politica italiana congelata dall’emergenza, Parentela, con incomprensibile tempistica, sente l’esigenza di ammettere la sconfitta del Movimento in Calabria, mentre all’indomani del responso delle urne si rifiutò categoricamente di commentare la débâcle.
La lettera aperta non è stata accolta molto bene tra gli attivisti anti-Morra, che hanno visto nella missiva una sorta di atto di contrizione indirizzato proprio al potente senatore, presidente della Commissione parlamentare antimafia. Postazione che gli dà la possibilità di distribuire con alta credibilità istituzionale patenti di (il)legalità. Lo fece, ad esempio, nei confronti di Domenico Tallini e Giuseppe Raffa, entrambi di Forza Italia, bollati come “impresentabili” tre giorni prima delle elezioni. Dalla colonna dei “cattivi” restarono fuori, però, tanti altri aspiranti consiglieri regionali, tra cui anche chi non avrebbero fatto in tempo nemmeno a insediarsi, perché sarebbe arrivato prima l'ordine di arresto, come nel caso di Domenico Creazzo, ai domiciliari. Ma questa è un’altra storia.
Resta il fatto che gli autori della contrita missiva «fino a pochi mesi fa chiedevano l’espulsione di Morra e ora sembra che gli chiedano scusa», urlano sulle chat dei vari Meetup i grillini ostili al senatore, mentre i suoi sostenitori, sparsi soprattutto nel cosentino, sono in brodo di giuggiole. Parentela cerca di buttare acqua sul fuoco: «Questa lettera non è rivolta a chi continua a pensare solo a distruggere anziché collaborare e costruire». Ma la sua è solo una rimescolata che rende tutto ancora più confuso, se si pensa che uno dei co-firmatari della lettera, Francesco Sapia, sarebbe stato un perfetto caso da Chi l’ha visto? durante le elezioni regionali, ma ora è pronto a dar manforte ai colleghi che fanno abiura del loro operato.
Una cosa è certa: il timoniere Vito Crimi - recentemente blindato da Beppe Grillo al vertice politico nazionale che occupava Di Maio prima di essere costretto a farsi da parte - non sembra conoscere la rotta sulla quale condurre il Movimento. E nulla si muove neppure dalle parti dei “facilitatori regionali” (una sorta di coordinatori territoriali) Riccardo Tucci, Fabio Gambino ed Elisa Scutellà. Scavalcati e silenti, mentre tutto intorno crolla e i 5 stelle diventano sempre più marginali nel panorama calabrese: senza un ruolo istituzionale e senza una direzione univoca.
L’unica che sembra non farsi più tanto il sangue amaro è Dalila Nesci, deputata di Tropea deferita ai probiviri e messa all’indice a suo tempo per l’ambizione di candidarsi alla Regione e, di conseguenza, per non aver sostenuto il candidato designato, quel Francesco Aiello, professore Unical, che sul Movimento sembra aver messo una pietra sopra già dal 27 gennaio, cioè il giorno successivo alle elezioni. Nesci fa spallucce e forse si prepara ad approdare su nuovi lidi, ormai pienamente consapevole che in quello che doveva essere il regno dell’Uno Vale Uno, si usano più spesso due pesi e due misure. E il metro riservato a lei non è quello usato per Morra.
degirolamo@lactv.it