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Che la famiglia Greco rappresenti un pezzo imprenditoriale importante della regione non c’è dubbio. Chi non lo è avendo interessi nella sanità, nell’agricolutura, nell’editoria, nella - vorrebbero - gestione dell’aeroporto di Crotone e nel riutilizzo della centrale di Rossano? E quindi, senza demonizzare chi fa impresa, è chiaro che se il gruppo fa una conferenza stampa per puntare il dito contro la classe dirigente, rea a parer loro di stare minando o frenando il loro impeto affaristico, l’effetto generato può scatenare dei pesanti movimenti tellurici a vari livelli. Il fatto stesso che a stretto giro il governatore Mario Oliverio abbia risposto alle illazioni dei Greco direttamente dal sito istituzionale, quindi parlando teoricamente in qualità di rappresentante dei calabresi, è testimonianza di quanto il messaggio lanciato dagli imprenditori crotonesi sia arrivato forte e chiaro. Innanzitutto la difesa a spada tratta di Oliverio nei confronti del bersaglio Franco Pacenza. Poi tutta una serie di congetture e complottismi indirizzati a non precisate persone.
E’ iniziata una guerra, insomma. Una guerra tra chi sente di stare promuovendo una buona politica e chi invece sente di fare giusta e sana imprenditoria. Ma se in “media stat virtus” il modo comunicativo con cui entrambe le parti stanno gestendo la situazione è quella classica e tipica della vecchia politica che gioca in autotutela e della vecchia imprenditoria che gioca al ricatto.
Entrambi parlano di non precisati fatti e questioni da riportare sui tavoli delle procure competenti, unici giudici sociali rimasti per capire quanto siano vere le ragioni di uno o dell’altro. E se per i Greco utilizzare il metodo vecchia scuola può non interessare il calabrese medio, poiché essendo un privato - seppur con aspirazioni pubbliche - rimane sempre una voce isolata, dovrebbe interessare invece la scelta di Oliverio, che dalla stanza ovale della cittadella di Germaneto lancia moniti e preoccupazioni serissimi nei confronti di persone o gruppi senza nome e cognome. Cioè, dire che “esistono gruppi di potere ben radicati che hanno trovato stazione, grazie sempre ai contributi pubblici, provocando decenni di malversazioni” significa semplicemente una cosa: questa giunta regionale ha scoperto i colpevoli della sventura dei calabresi onesti. Li ha scoperti ma non vuole rivelarli. Lo dica, quindi, Mario Oliverio di cosa e soprattutto di chi sta parlando. Lo dica perché i calabresi hanno il dovere di essere informati direttamente da chi li rappresenta e hanno il dovere di sapere chi ha lucrato, speculato, giocato sulla loro pelle. Aspettare il lavoro lungo e macchinoso della magistratura non è più sufficiente. Già dalla campagna elettorale scorsa Oliverio continuamente parlava di sedicenti poteri forti che vorrebbero gestire e intromettersi nelle scelte della politica. Adesso, a distanza di più di un anno, lo ripete ancora e adesso ancora più forte dopo lo scossone dei Greco. E cosa ha fatto per vincere finalmente questo cancro? Niente, o meglio ancora niente. Si, la giunta è composta da personaggi super partes, scelti per onori e non per voti, mentre alcuni dirigenti sono stati fatti ruotare. Ma evidentemente non basta, perché ancora una volta il litigio verte sul chi sarà il primo ad andare alle Autorità Giudiziarie per denunciare tizio e caio. Una storia dal titolo già conosciuto: Status quo. O gattopardo.
I calabresi, che saranno pure distratti ma non certamente stupidi, osservano silenziosamente la fine del periodo dei sedicenti poteri forti. Non tanto per vedere manette e galere, ma più semplicemente per guardare in faccia i propri aguzzini. Quindi, ognuno qui ha il diritto di tirare quanta più acqua possibile al proprio mulino. Solo che il mulino dei Greco è privato con possibili ricadute occupazionali, mentre quello di Oliverio è totalmente pubblico con assolute ricadute sulla qualità della vita dei calabresi. Il governatore continua nella sua presunta battaglia di mettere ordine e regole precise per tutti. E ci si può pure credere. Ma il tempo è denaro e qui ancora tutto è come prima. O addirittura peggio.
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