Luigi Di Maio, Maria Elena Boschi, Eugenia Roccella: cosa li accomuna? Tutti e tre sono stati paracadutati in Calabria pur senza avere nulla a che fare con la Calabria. 

Il fenomeno è nazionale ed è il frutto del combinato disposto Rosatellum/taglio dei parlamentari. La riduzione dei seggi disposta dalla riforma costituzionale del 2020 ha spinto tutte le segreterie nazionali a usare, in modo ancor più disinvolto che in passato, il superpotere affidato loro dalla legge elettorale: quello di piazzare a piacimento i propri candidati su e giù per l’Italia, nel rispetto delle dinamiche interne più che del diritto dei territori di eleggere i propri rappresentanti locali.

Così la Calabria, con poche eccezioni, si è trasformata in un taxi per tanti raccomandati romani, gente spedita nei collegi regionali malgrado non abbia, nella maggior parte dei casi, alcun legame politico né anagrafico con la regione. (CONSULTA QUI TUTTI I CANDIDATI E LE LISTE)

I leader

Sono quattro i leader di partito che si sono autocandidati tra il Pollino e lo Stretto: Di Maio, Matteo Salvini, Luigi De Magistris e Antonio Ingroia. Ma se è pur vero che i segretari nazionali devono necessariamente trovare il loro spazio in una o più regioni d’Italia, diverso è il discorso per le seconde linee, spesso piazzate in Calabria perché in esubero in altre realtà. Nessuna scelta è però indolore. E infatti nei partiti è già esploso il malcontento per i diktat romani che tolgono rappresentatività effettiva alla regione.

I fratelli litigiosi

Alta tensione soprattutto in Fratelli d’Italia. I vertici regionali non hanno gradito affatto l’isolamento in cui sono stati tenuti fino all’ultimo dallo stato maggiore di Giorgia Meloni, che ha comunicato le proprie decisioni soltanto a poche ore dalla consegna delle liste. E se comunque Roma ha assicurato postazioni blindate ai dirigenti regionali più importanti – Wanda Ferro e Fausto Orsomarso –, la decisione di paracadutare due candidati esterni come Alfredo Antoniozzi e Roccella (secondo e terzo nel proporzionale Camera) non è andata giù ai fratellisti calabresi. 

Anche perché Antoniozzi e Roccella hanno grandi possibilità di centrare l’elezione, considerato che Ferro corre anche nell’uninominale sicuro di Catanzaro e che Fdi ha le carte in regola per eleggere due deputati al plurinominale. «Al loro posto – sottolinea un maggiorente regionale – potevano essere candidati autorevoli esponenti che da anni si spendono per il partito calabrese, come il coordinatore crotonese Michele De Simone o l’ex candidato alle Europee Rosario Aversa». Né viene ben compresa la mossa di piazzare in lista il sindaco di Locri Giovanni Calabrese, non eletto alle ultime Regionali, «a differenza del nostro capogruppo Peppe Neri, lasciato incredibilmente fuori».

Stesse perplessità per il piazzamento della reggina Giovanna Cusumano, al secondo posto dietro Orsomarso malgrado lo scorso ottobre si sia classificata alle spalle di Monica Falcomatà. 

La possibile protesta di un altro pretendente come Denis Nesci è stata scongiurata solo perché il coordinatore provinciale reggino, con ogni probabilità, farà il salto a Bruxelles, al posto di Raffaele Fitto, già blindato in Puglia. 

Poco lega(ti)

Di certo l’autocandidatura di Salvini (capolista Senato) ha creato più di una crepa nella Lega. Basti pensare che il coordinatore calabrese, Giacomo Saccomanno, è finito al secondo posto nel listino Camera, con non troppe chance di essere eletto.

A esprimere pubblicamente il suo dissenso rispetto alle scelte del centrodestra è stato il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, deluso per il «poco conto» in cui è stata tenuta la sua città, Catanzaro. «Nessuna speranza di eleggere, nelle fila della Lega, un deputato o un senatore, da parte di un’area che è magna pars del baricentro del sistema-regione». Mancuso, secondo diversi rumors, avrebbe lottato fino all’ultimo per un posto utile nelle liste del Carroccio.  

Brutta aria nel Pd

Tira una brutta aria anche dalle parti del Pd, costretto a ingoiare l’elezione certa del crotonese naturalizzato romano Nico Stumpo, le cui azioni politiche non hanno mai avuto come punto di caduta principale la sua regione d’origine. Il deputato 53enne ha potuto contare sull’amicizia di ferro con Roberto Speranza, ministro ma soprattutto capo di Articolo 1, il principale alleato dei dem. Tanto è bastato. La presenza di Stumpo ha però ristretto gli spazi per i big locali: l’uscente Antonio Viscomi, poi non ricandidato, il capogruppo regionale Mimmo Bevacqua, l’ex consigliere Graziano Di Natale, ma anche Carlo Guccione (terzo al proporzionale Camera), che aveva fatto un passo indietro alle Regionali dietro la promessa del Nazareno di un posto al sole alle Politiche. 

Il malcontento calabrese ha così diverse fonti: la segreteria Letta, ma pure quella regionale di Nicola Irto (capolista al Senato). Che «ha pensato bene di lavorare principalmente per la sua elezione, quasi disinteressandosi del resto», commenta velenoso un esponente di primo piano del partito. «Avrebbe dovuto candidarsi al maggioritario e metterci la faccia a Reggio, la sua città. Così si comportano i veri leader. Invece ha preferito regalare quel collegio al centrodestra di Cannizzaro», mormora un consigliere regionale dem. 

Il Pd calabrese è vissuto insomma dalla sua stessa classe dirigente come la destinazione prediletta per paracadutati e auto-paracadutati. Tutto questo non fa che esacerbare gli animi in una federazione che solo da pochi mesi si è lasciata alle spalle una lunga stagione commissariale.  

Niente paracaduti in Fi

L’unico partito che è riuscito a evitare i raccomandati romani è stato Forza Italia, anche grazie ai buoni uffici del coordinatore Giuseppe Mangialavori (capolista Camera) e del governatore Roberto Occhiuto, che ha portato a casa la candidatura del fratello Mario (primo al Senato). 

Non si può dire lo stesso del M5S. Giuseppe Conte ha riservato i posti sicuri a entrambi gli ex magistrati inseriti nel suo listino bloccato: il campano Federico Cafiero de Raho (capolista Camera) e il siciliano Roberto Scarpinato (Senato). Una scelta che, oltre a instillare il dubbio che per l’ex premier la Calabria sia principalmente una questione criminale (fu lui a nominare l’ex questore Guido Longo a capo della Sanità regionale), annulla quasi in toto i risultati delle Parlamentarie. 

Inevitabili i mal di pancia della base pentastellata, considerato che dietro a Cafiero de Raho si è piazzata la “romana” (è originaria del Cosentino) Vittoria Baldino, candidata solo grazie a una deroga al principio di territorialità. Tra i più scontenti Maria Laface («sono stata l’attivista più votata in Calabria e sono scivolata in basso nel listino…»), Guglielmo Minervino e la deputata uscente Elisa Scutellà, che si è dovuta accontentare di una candidatura nell’uninominale di Catanzaro. 

La beffa più grande l’ha subìta Giuseppe Auddino. È stato il più votato per il Senato ma è poi finito al terzo posto per l’arrivo di Scarpinato e per l’alternanza di genere, che ha favorito Elisabetta Barbuto. 

Delusione Magorno

Deluso anche Ernesto Magorno. Il senatore e sindaco di Diamante credeva di avere in tasca il pass per fare il capolista del Terzo polo alla Camera. All’ultimo momento, però, il suo leader, Matteo Renzi, gli ha preferito l’ex ministra Maria Elena Boschi. 

Se Magorno non ride, figuriamoci Bruno Censore, l’ex pd che aveva aderito a Italia viva forse nella speranza di tornare a Montecitorio. Ma dalla Calabria, senza raccomandazione, è difficile andare in Parlamento