Il tonfo è stato più clamoroso che nel resto del Paese. A Catanzaro pesa il non voto. Decisive anche le lacerazioni nazionali. Il disimpegno di Occhiuto (ASCOLTA L'AUDIO)
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Il tonfo del centrodestra, in Calabria, è stato più clamoroso che nel resto d'Italia. Su 26 Comuni capoluogo al voto, la coalizione di Meloni, Salvini e Berlusconi ha ottenuto 13 vittorie, ma ha anche perso cinque centri dove prima governava, tra cui la piazza più importante del Nord, Verona. Ma mentre il centrodestra nazionale può vantare la conquista di una città come Palermo, in Calabria il quadro è totalmente negativo. Il «campo largo» di Fiorita e il civismo progressista hanno dominato la scena, a Catanzaro e in quasi tutti gli altri Comuni medio-grandi chiamati al voto.
Il centrosinistra, inteso nella sua accezione più ampia, è infatti riuscito a mettere il proprio cappello sulle città più grandi: dal capoluogo di regione ad Acri, passando per Paola, Palmi, Soverato, Villa San Giovanni, Bagnara Calabra e Campo Calabro.
D'altra parte, la disfatta della coalizione che, giusto otto mesi fa, ha stravinto le elezioni regionali può avere diverse spiegazioni.
L'elaborazione dei dati
Una riguarda l'astensionismo, i cui effetti si sono riverberati soprattutto a Catanzaro. A sostenerlo è anche l'Istituto Cattaneo, che ha riscontrato questo fenomeno in tre delle città di cui ha analizzato i flussi elettorali: Monza, Parma e Alessandria, oltre al capoluogo calabrese.
«A Catanzaro – scrive il centro di ricerca – il calo dell'affluenza è stato molto marcato, pari a circa 23 punti percentuali (dal 65,9% al 42,3%)». Nonostante questa diminuzione complessiva della partecipazione, Fiorita «è riuscito ad incrementare i propri voti (che da 14.966 sono arrivati a 17.823)», mentre Donato, candidato del centrodestra, «ha visto una drastica diminuzione di voti (da 20.768 a 12.778). In tal modo, Fiorita, che al primo turno aveva oltre 12 punti percentuali di svantaggio (44,0% vs. 31,7%), ha vinto comodamente (58,2%) il ballottaggio».
Inoltre, mentre «l'originario bacino elettorale di Donato ha subito una pesantissima perdita verso il non-voto (le stime dicono che metà dei suoi voti del primo turno, al ballottaggio sono spariti), il bacino elettorale del candidato di Fratelli d'Italia è stato “fedele” al centrodestra in misura maggiore (il 62% di chi aveva votato Wanda Ferro al primo turno ha poi scelto Donato al secondo)».
Fiorita, invece, ha avuto «perdite molto limitate verso il non-voto ed è riuscito a vincere di larga misura la sfida sulla conquista del bacino elettorale dell'outsider Talerico (che al primo turno aveva avuto il 13,1%): la maggior parte degli elettori di questo candidato “civico”, al ballottaggio si è poi astenuta, ma tra chi è andato al voto le preferenze sono andate a Fiorita».
L'astensionismo avrebbe perciò penalizzato maggiormente i candidati di centrodestra. Secondo l'Istituto, peraltro, è «plausibile» l'ipotesi che la causa «sia da ricercare non solo in dinamiche di tipo locale, ma nasca anche da ragioni nazionali», senza dimenticare «una più accentuata propensione dell'elettorato di centrodestra a disertare le urne in occasione di competizioni elettorali considerate evidentemente (dagli stessi elettori) meno rilevanti».
Tra un anno, cioè, si potrebbe giocare tutta un'altra partita, perché il centrodestra ha sempre avuto la capacità di ricompattarsi in occasione delle Politiche.
Le divisioni in Calabria
È tuttavia indiscutibile che le divisioni, i litigi, la competizione interna tra i leader, abbiano orientato l'esito dei ballottaggi. È la seconda spiegazione del crollo del centrodestra.
Le sconfitte sono state così brucianti da aver spinto tutti i segretari a invocare un chiarimento per evitare un nuovo e più grave flop tra un anno. La prima a chiedere un confronto tra alleati è stata Meloni («basta litigi, non possiamo rischiare di mettere a repentaglio il risultato delle Politiche»), seguita a ruota da Salvini («per me l'incontro si può fare anche domani») e Berlusconi («lo promuoverò io stesso»).
Gli effetti di questa lotta intestina che si trascina da mesi si sono ovviamente fatti sentire anche in Calabria.
I dati non mentono: se Fratelli d'Italia non avesse optato per la corsa solitaria a Catanzaro, oggi la fascia tricolore la indosserebbe Donato, al cui fianco stavano, sotto mentite spoglie, Lega e Forza Italia.
Vale anche per Paola: Giovanni Politano è diventato sindaco grazie all'apporto decisivo delle civiche ispirate da Fdi, dall'altra parte della barricata rispetto al resto del centrodestra, schierato con la perdente Emira Ciodaro.
Leader cercansi
Il tracollo del centrodestra calabrese è anche dovuto all'assenza di capi riconosciuti e in campo in prima persona. E siamo alla terza spiegazione.
Fin dal 1994, la coalizione ha avuto una forte propensione al leaderismo: i venti anni di Berlusconi, il breve intermezzo di Salvini, trionfatore delle Europee 2019, e oggi l'ascesa, non del tutto agevole, di Meloni.
Il centrodestra, a differenza del fronte progressista, ha sempre avuto bisogno di un conducator carismatico per vincere le varie sfide elettorali, fossero nazionali o locali.
È successo anche in Regione Calabria, con Peppe Scopelliti prima e, a ottobre, con Roberto Occhiuto.
A Catanzaro, stavolta, non si è vista alcuna leadership. Troppo di sinistra il profilo dell'ex dem Donato perché la sua proposta risultasse credibile. Gli elettori di riferimento non lo hanno riconosciuto come capo e la gran parte di loro è rimasta a casa per il ballottaggio.
Al centrodestra è poi mancato il sostegno del suo lider maximo. Molti, tra gli esponenti della maggioranza che governa la Regione, sono convinti che Occhiuto avrebbe potuto usare la sua influenza per serrare i ranghi della coalizione, soprattutto nel capoluogo.
Il governatore ha però preferito stare fuori dai giochi, almeno ufficialmente: nessun intervento per favorire l'unità, nessun endorsement, nessun comizio accanto ai candidati. Alcuni, come Talerico – che si è poi schierato con i progressisti di Fiorita al ballottaggio –, hanno apprezzato l'«equidistanza» del presidente. Altri, e in particolare diversi dirigenti e rappresentanti istituzionali del centrodestra, hanno iniziato a mugugnare a batosta elettorale ormai consumata.
«Occhiuto avrebbe potuto dare una mano alla coalizione che lo ha eletto»: è questa la sintesi dei ragionamenti che da giorni circolano negli ambienti della maggioranza. E c'è anche chi vorrebbe che il governatore tenesse bene a mente quanto avvenuto a un suo predecessore: «Il declino di Mario Oliverio è iniziato quando ha deciso di abbandonare la sua coalizione alle Amministrative».
Corsi e ricorsi? Si vedrà. Per il momento di storico c'è solo il fallimento del centrodestra.