«In Calabria da tre parlamentari Pd eletti nella scorsa legislatura si è passati a uno. Negli ultimi due anni abbiamo registrato due pesanti sconfitte alle elezioni regionali: la prima nel 2020 e la seconda nel 2021 conseguenza di una scelta imposta dalla segreteria nazionale che dopo aver impedito la ricandidatura del Presidente uscente Mario Oliverio, eletto nel novembre 2014 con il 64% dei consensi, ha anche negato la possibilità di indicare il candidato alla presidenza attraverso le primarie, come richiesto dalla quasi totalità dei circoli allora operanti ed attivi per imporre la candidatura di un personaggio con una dichiarata storia e collocazione di centrodestra. La verità è che è stato bloccato un processo di rinnovamento utilizzando, cinicamente ed a fini interni una vicenda giudiziaria di cui il Presidente Oliverio era vittima per come aveva, già nei mesi precedenti alle elezioni, sentenziato la Suprema Corte di Cassazione e successivamente la magistratura   giudicante. In Calabria la politica si è servita della Giustizia per azzoppare il "nemico" ed il nemico era chi aveva avviato, non senza ostacoli, un vero processo di rigenerazione della mia terra e anche   del partito. In Calabria, sono state spinte fuori dal partito le più belle e sane energie con danni politici irreparabili che hanno arrestato il vero cammino di rigenerazione della Calabria. La verità processuale, come era chiaramente prevedibile, é stata già stabilita per il Presidente Oliverio attraverso due sentenze di assoluzione con formula piena. Anche per altri dirigenti sono certa che arriverà ma sono altrettanto certa che se non si ristabilisce ora e subito una verità politica il destino del Partito democratico è segnato! Chi ha prodotto i danni non può essere il protagonista della rigenerazione del Partito».

Le affermazioni qui evidenziate non sono la netta presa posizione di un qualche dirigente che ricopre ruoli di rilievo nel Pd calabrese, di un parlamentare, di un ex parlamentare, di un consigliere regionale o di chiunque altro dirigente del locale partito. No, la prima fila calabrese dei democrat tace, si guarda la mano in attesa dei riposizionamenti utili a riciclarsi in una delle correnti di ceto e non di consenso che rappresenta la fattura di questo Pd senza testa e anima che accenna ad aprire un congresso vero ma non ci riesce. Ad irrompere nella discussione dell’assemblea nazionale del PD convocata in remoto per assumere decisioni “storiche” è la voce di una terza fila del partito, una donna, di Reggio Calabria, Carmen Latella. E le sue sono parole dure come pietre, ma sono la verità e rendono ancora più assordante il silenzio del ceto politico democrat calabrese e le responsabilità nelle scelte degli ultimi anni della stessa segreteria nazionale. Il silenzio opportunistico di chi non trova neanche il coraggio di chiedere scusa per aver rimosso un presidente di Regione, Mario Oliverio, spazzato via dal delirio del giustizialismo del qual quale il maggior partito della sinistra non riesce a liberarsi a qualsiasi latitudine. Carmen Latella nei pochi minuti a disposizione è interrotta continuamente da una presidente che lascia poco spazio al dibattito, la forma di convocazione in remoto la dice lunga a tal proposito, va giù pesante  anche sulle responsabilità dei gruppi dirigenti romani e sulla mancata trasparenza sui veri motivi delle dimissioni dell’ex segretario Nicola Zingaretti.

La democrat reggina ha poi chiaramente affermato che la gestione del Nazareno è in mano sostanzialmente a degli oligarchi che non sono espressione del consenso del partito nelle sue articolazioni: «Un gruppo dirigente ristretto si è autoassegnato il ruolo di depositario di verità e funzioni di comando attraverso la forza di una legge elettorale assurda, funzionale all'autoconservazione di se stesso».

E poi la stoccata sulle dimissioni dell’ex segretario che aveva vinto il congresso. «Non abbiamo mai saputo le reali motivazioni che hanno portato Zingaretti alle dimissioni, questa Assemblea è determinata in buona parte da compagni che hanno sposato il progetto "Piazza Grande" e noi non sappiamo (avremmo voluto saperlo chiaramente!) cosa è successo e chi lo ha determinato, perché se si continua a mettere la polvere sotto al tappeto, alla fine, come è accaduto, lo sporco uscirà fuori e non si può più far finta di niente. Ben venga un congresso costituente, ottima la riforma statutaria ma non bisogna avere fretta nella celebrazione del cogresso, ciò che ci deve unire è un progetto su idee condivise e non di nomi perché di nomi se sono sono già bruciati abbastanza».

Insomma una giovane dirigente reggina ha messo diversa carne al fuoco, quanto basta anche per aprire un dibattito, in Calabria. E, tuttavia, nei democrat calabresi continua a prevalere il silenzio, oppure le solite frasi fatte e sterili di qualche grigio segretario provinciale. Il resto, il solito muro di gomma propedeutico all’opportunismo di carriera. Un muro di gomma di inconcludente presenza politica sul territorio e nelle istituzioni. E sono ancora le parole di Carmen Latella a lasciare una flebile luce di speranza  all’orizzonte: «Chi ha prodotto i danni non può essere il protagonista della rigenerazione del partito. I danni sono gravi per alcuni versi imeparabili e nonostante ciò qualcuno non ha pensato  di chiedere scusa! Potrei andare avanti per ore. Concludo dicendo che se ci sarà voglia di impegnarsi per una vera rifondazione del nostro partito,per essere veramente il partito democratico aperto, inclusivo, sensibile, ci sono tante energie da rivitalizzare, motivare, con umiltà e capacità di ascolto, aprendosi al mondo del lavoro, della cultura, della solidarietà; andando a cercare le energie perse e spinte fuori perché se ricadremo nella logica di conservazione del potere "superstite" non avremo strade da percorrere se non quella del declino».