Dopo l’annuncio ufficiale della Lega di Serie A è scoppiata una polemica infuocata che coinvolge tutto l’arco parlamentare. Contro la discriminazione nei confronti delle donne, che potranno assistere al match solo in un settore specifico dello stadio, si è schierato soprattutto il ministro Matteo Salvini. Una battaglia di principio che però appare fasulla se si considera il giro d’affari tra Roma e Riad. Quello nessuno lo tocca
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La sfida in Arabia Saudita tra Juve e Milan per la Supercoppa italiana, va giocata. E va giocata proprio lì, nell’Abdullah Sports City Stadium di Gedda, nel cuore della penisola araba, in uno dei paesi musulmani più conservatori e antiliberali.
In queste ore, da quando cioè la Lega di Serie A ha ufficializzato data e orario del match (16 gennaio, 18.30 ora italiana), la politica italiana è insorta all’unisono, denunciando l’insopportabile discriminazione insita nelle regole che disciplineranno l’ingresso allo stadio: le donne potranno accedere agli spalti e assistere all’evento solo sedendo in settori speciali, quelli riservati alle famiglie. In pratica, per poter guardare la partita, devono essere accompagnate da un familiare di sesso maschile. Una parte dello stadio, inoltre, sarà riservata ai soli uomini e quest’area sarà inaccessibile alle donne. Questo è quanto hanno deciso gli organizzatori sauditi, anche se, è bene ricordarlo, fino a pochi mesi fa il divieto per le donne di accedere agli eventi sportivi pubblici era assoluto.
Se si volesse guardare il bicchiere mezzo pieno, dunque, si potrebbe parlare di enorme passo in avanti sulla strada del riconoscimento dei diritti delle donne in un Paese nel quale, sino al giugno scorso, non potevano neppure guidare l’auto per il divieto che le relegava solo sul sedile passeggero di qualsiasi mezzo. Insomma, un altro universo.
La polemica
Il primo, almeno in ordine di importanza istituzionale, a gridare allo scandalo è stato il ministro dell’Interno Matteo Salvini, tifoso rossonero senza se e senza ma: «Che la Supercoppa italiana si giochi in un paese islamico - ha detto in diretta Facebook - dove le donne non possono andare allo stadio, se non accompagnate dagli uomini, è una tristezza, una schifezza. Io quella partita, Juve-Milan, non la guardo». Concetto che rimarcato poi in un’intervista radio: «Ditemi voi se la Supercoppa italiana, in nome del business di qualche milione di euro, va giocata a migliaia di chilometri di distanza in un paese che evidentemente ha dei problemi, dove le donne possono andare allo stadio solo se accompagnate. Andare a giocare in un paese irrispettoso, illiberale e retrogrado, dove le donne non possono andare liberamente allo stadio, è davvero imbarazzante». Tutto molto bello.
I principi hanno un "prezzo"
Talmente condivisibile che ogni replica sarebbe superflua. Se non fosse che in quel Paese “irrispettoso, illiberale e retrogado” l’Italia nel 2017 ha esportato merci per 3,9 miliardi di euro (fonte ministero degli Esteri), in prevalenza macchinari, derivati del petrolio, semilavorati in ferro, ghisa e acciaio, prodotti del settore agroalimentare, mobili e design italiano. Non male anche le importazioni, in prevalenza petrolio grezzo, per un totale di 3,4 miliardi e un saldo positivo, quindi, di circa mezzo miliardo di euro. Insomma, non proprio “qualche milione” per il business che ruota intorno a una partita di calcio.
In Arabia Saudita esportiamo anche armi
Tra le tante cose che esportiamo in Arabia Saudita, c’è anche un prodotto realizzato in Sardegna e non ha niente a che fare con il pecorino. Sono bombe, armi devastanti che l’Arabia Saudita utilizza nella guerra civile in corso in Yemen, appoggiando una delle due fazioni in lotta. A scoprirlo fu esattamente un anno fa un’inchiesta del New York Times, che svelò la provenienza degli ordigni, cioè la fabbrica sarda Rwm, che lavora per conto della casa madre tedesca Rheinmetall, che attraverso le sue filiali all’estero esporta armi nel paese arabo, eludendo la legislazione nazionale.
Un reportage di Rai News approfondì poi ulteriormente la vicenda, sottolineando che «l’esportazione di bombe da parte di Rwm viola la legge 185 del 1990 art.1 comma 6, che vieta il commercio di armi verso paesi in stato di conflitto i cui governi sono responsabili di violazioni dei diritti umani». E ancora: «Nel caso dell’Arabia Saudita queste violazioni sono state accertate dall’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani e in diverse occasioni il Parlamento europeo ha votato l’interruzione dell’esportazione di armi verso questo paese. Nonostante ciò, l’Italia continua a concedere autorizzazioni, con l’ultima commessa che risale al 2018».
Il sindaco del paese dove si costruiscono le bombe
Nel corso della stessa inchiesta giornalistica venne intervistato anche il sindaco di Domusnovas, il Comune di 6mila abitanti a 50 chilometri di Cagliari, sede dello stabilimento. «Cento miei concittadini lavorano in quella fabbrica - disse il sindaco Massimiliano Ventura -, la nostra comunità non può rinunciare a questa fonte di reddito in una realtà economicamente depressa come la nostra». Diretto, senza giri di parole, indossando orgogliosamente la fascia tricolore.
L'ipocrisia della politica vecchia e nuova
C’è invece un’insopportabile ipocrisia nelle polemiche unanimi (Salvini e Boldrini, ad esempio, hanno reagito con la stessa indignazione) che stanno accompagnando la decisione di disputare la Supercoppa italiana a Gedda. L’ipocrisia di una classe politica, vecchia e nuova, capace solo di sventolare bandiere di principio a favore del proprio elettorato, che in questo caso singolare coincide a ogni latitudine politica, da destra a sinistra, perché nessuno nel mondo Occidentale potrebbe giustificare impunemente l’apartheid femminile in uno stadio di calcio.
Così, però, è troppo facile. Molto più difficile ma autentico, invece, sarebbe trarne conseguenze commerciali e occupazionali. Al limite, se proprio non si riesce a reggere lo scotto delle conseguenze economiche, sarebbe meglio cercare di indorare la pillola, come sta cercando di fare la Lega di Serie A, nel tentativo di difendere i 21 milioni di euro che il governo di Riad si è impegnato a versare nelle sue casse nei prossimi 5 anni, per una serie di eventi sportivi da organizzare nella penisola araba.
«Con il benestare di Fifa, Uefa e Confederazione asiatica – ha dichiarato il presidente Gaetano Micciché - stiamo andando a disputare una gara di calcio ufficiale in un Paese con proprie leggi sedimentate da anni, dove tradizioni locali impongono vincoli che non possono essere cambiati dal giorno alla notte». Non sarà il massimo, ma almeno suona meno fasullo delle parole di un ministro che, in quanto tale, potrebbe fare ben altro che andare sui social a dire le stesse cose che dice la sua nemesi-Boldrini.