In vista delle elezioni nazionali del prossimo 25 settembre, in cima ai Tre Colli al pari del resto d’Italia per la verità, c’è parecchio fermento. Tante le posizioni in ballo, dunque, con un proliferare di elementi della società civile, anche noti e stimati professionisti, e naturalmente politici, per lo più ex maggiorenti ormai in disarmo, all’affannosa ricerca, soprattutto nel campo del centrodestra, di un posto al sole. Che, tuttavia, per loro difficilmente arriverà. Lo si afferma, considerato come tanto i partiti maggiori quali Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia quanto la piccola quarta gamba della coalizione “Noi con l’Italia”, abbiano già deciso di puntare su ben individuati soggetti di sicura affidabilità. Niente “scommesse”, allora. Perché la posta in gioco è altissima e quindi non si vuole rischiare di regalare collegi. Né di costituire “riserva di caccia” o “cimiteri degli elefanti” per offrire opportunità a personaggi in cerca d’autore ovvero per concedere a “vecchi arnesi” un’occasione d’oro utile a riciclarsi, dopo inattesi tonfi alle Regionali o in altri contesti elettorali.

Mancuso e Alecci

Lo stesso però vale anche per il centrosinistra. Anzi per il Pd locale in particolare, in cui talune autocandidature hanno fatto storcere la bocca non poco con reazioni conseguentemente piccate e giudizi trincianti. Sembra infatti che alcune iniziative, ancor più che velleitarie, siano apparse a quasi tutti fuori da ogni logica e senso della misura per quanti avrebbero in realtà una dote di voti al massimo sufficienti per concorrere a un rinnovo di cariche condominiali. Fin qui un ragionamento sul metodo, ma determinante per le successive disamine. Che introduce oltretutto al “capitolo nomi” quali i due caldissimi di Filippo Mancuso nel Carroccio ed Ernesto Alecci nelle file Democrat.

Situazioni agli antipodi, perché nel primo caso pare che Mancuso si stia battendo con il suo leader Matteo Salvini per avere la deroga in quanto da presidente del consiglio regionale in carica non potrebbe candidarsi. E a riguardo va inoltre spiegato che, se pure la Lega potrebbe essere rassicurata sulla (ri)assegnazione della stessa ambita poltrona a un proprio rappresentante (forse reggino), il capoluogo ne uscirebbe con le ossa rotte ancora una volta. Vale a dire, per la prima volta nella storia di fatto fuori da ogni postazione di potere fra Giunta e Consiglio.

Il ruolo del meloniano Pietropaolo

A eccezione, per la precisione, dell’assessorato esterno del meloniano Filippo Pietropaolo. Che oltretutto - sebbene circa 18 anni fa fu sindaco facente funzioni proprio del capoluogo in virtù del passo indietro allora compiuto da Sergio Abramo sceso in campo per la guida della Regione contro Agazio Loiero - è peraltro nato a Vibo e si fa comunque una certa fatica a individuare come un… catanzarese purosangue. Al di là di tutto, a fronte di un Mancuso attivissimo per il seggio come quando a ottobre scorso non accettò una delega assessorile nell’esecutivo Occhiuto.

Si narra addirittura rifiutata in una telefonata con Salvini mentre era nella centralissima Piazza Anita Garibaldi di Lido, reclamando invece la presidenza di Palazzo Campanella e null’altro, c’è di contro chi - dalla parte opposta - nicchia. È il caso di Ernesto Alecci, che in un Pd tra l’altro con la necessità di proporre nell’uninominale una donna individuata da Roma dopo Nicola Irto nel cosiddetto listino potrebbe essere la punta di diamante Democrat del collegio 3 di Catanzaro. Malgrado, si vociferi, abbia altre ambizioni come ad esempio essere l’aspirante governatore del centrosinistra alle prossime Regionali. Scelte di carriera personali, per carità. Ma attenzione viceversa a una sua candidatura alla tornata di inizio autunno, perché a quel punto con la concomitante presenza ai nastri di partenza del deputante uscente Antonio Viscomi per il sindaco Nicola Fiorita ci sarebbe il grande imbarazzo di doversi schierarsi in favore di uno o dell’altro sebbene il forte legame con entrambi.