La Giornata della Memoria e le deportazioni subite da alcuni cittadini di Diamante: le loro piccole storie nella Storia sono un monito per tutti
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L’Italia riconosce il 27 Gennaio, data della liberazione di Auschwitz, come Giorno della Memoria al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, gli Italiani deportati, prigionieri, morti nei campi nazisti e coloro che hanno protetto i perseguitati. L’obiettivo è quello di stimolare una riflessione, soprattutto nelle Scuole di ogni ordine e grado, affinché simili tragici eventi “non possano mai più accadere”. Anche a Diamante, l’amministrazione Comunale guidata dal sindaco Achille Ordine, in continuità con i suoi predecessori e con il coinvolgimento degli Alunni dell’Istituto Comprensivo, diretto dalla ds Patrizia Barbarello, ha promosso una Giornata di Commemorazione per parlare di Shoah e di deportazioni subite da alcuni cittadini diamantesi.
Le loro storie, raccolte dal giornalista Francesco Cirillo, nel libro “Storie sotto l’Olmo”, sono vicende dolorose, di privazioni, violenze subite, miseria fisica e morale, umiliazioni che gli stessi protagonisti hanno talvolta faticato a ricordare, perché l’orrore è inenarrabile. Questi i loro nomi; Armando Benvenuto, Ernesto Caridi, Francesco Caselli, Mario Cirone, Vincenzo Maiolino, Pietro Paolo Perrone, Nicolino Pierri, Paolo Vaccaro, Vincenzo Vergara. Tutti giovanissimi soldati dell’esercito italiano, erano ferrovieri, pescatori, commercianti, calzolai. Fatti prigionieri dall’esercito nazista, dopo l’8 Settembre del 1943, in Albania, Grecia, Jugoslavia e ancora a Bolzano, a Taranto. Trasportati su carri merci verso i campi di concentramento di Königsberg, Hartmannsdorf, Zschopau, Ziwickau, Hildesheim e altri ancora, tutti rigorosamente circondati da filo spinato e controllati da guardie armate, pronte a sparare, dall’alto di una torretta. Obbligati a lavorare, stremati dalla fame (ricevevano un pasto al giorno, consistente in una brodaglia e solo una volta a settimana un pezzo di pane nero), nelle fabbriche, nelle miniere di carbone, nella realizzazione di sistemi difensivi, sfruttati per sostenere lo sforzo bellico e l’economia della Germania nazista.
Ritornarono a casa, perché liberati dalle forze alleate, invecchiati, calvi, ridotti pelle e ossa, a disagio nella normalità, di cui non tolleravano neppure la morbidezza di un materasso. C’è anche chi, però, a Diamante non è più tornato. Il suo nome Venturino Imparato. Trentatré, gli anni. La sua storia diversa da tutte le altre. Non un campo di concentramento ma un plotone di esecuzione, nel corso di una rappresaglia sulla linea gotica, il cui sfondamento determinò la fine dell’occupazione tedesca e la liberazione del Nord Italia. Venturino ha perso la vita, insieme ad altre 158 persone, tra cui il parroco del paese e 7 bambini dai due agli undici anni, il 17 Agosto 1944, a Fivizzano, in Toscana, dove era emigrato, per lavoro.
Le popolazioni della zona, controllata dai tedeschi, erano sottoposte a continue razzie di cibo e bestiame. Vivevano nel terrore, e alla paura si aggiungeva la fame, accresciuta dalle ruberie degli invasori. Nella zona operava anche una brigata partigiana, denominata Ulivi, che attaccò un convoglio tedesco. Sedici, i soldati uccisi. E scatta la rappresaglia dei Nazisti, comandati dal maggiore Reder, contro l’inerme popolazione civile. Vittime innocenti, scelte a caso, in un delirio di onnipotenza senza eguali nella storia. Ancora pochi mesi, 8 per la precisione, e l’incubo sarebbe terminato, sulla linea gotica come nel resto d’Italia. Ma per Venturino, e per molti altri, nessun lieto fine. Storie diverse, dunque, dal genocidio del popolo ebraico ai crimini di guerra, ma con un comune denominatore: la follia nazista che irruppe nella Storia d’Europa e la travolse.