Il dibattito politico che si sta sviluppando intorno alle prossime elezioni regionali sembra non riuscire, ancora una volta, a cogliere la drammaticità della situazione che stiamo vivendo e, soprattutto, ad essere all’altezza delle sfide che questo tempo così complesso pone all’Italia e alla Calabria in particolare.

La pandemia ha evidentemente messo a nudo le fragilità del sistema-Calabria: dalla sanità all’economia sono riemersi problemi storici, sicuramente aggravati dall’emergenza coronavirus, ma che hanno reso evidente l’incapacità decennale delle nostre classi dirigenti di programmare politiche adeguate, di costruire reti di servizi sul territorio, di promuovere una classe dirigente competente, di mettere a punto, in sintesi, tutto quanto è necessario per garantire effettivamente che anche le calabresi e i calabresi possano esercitare, al pari degli altri italiani, i loro diritti.

Perché è di un vero e proprio divario di cittadinanza che dovremmo parlare. Se nasci donna o uomo, se nasci a Milano o a Reggio Calabria, ti sono garantiti gli stessi diritti e le stesse opportunità? Basterebbe citare, per tutti, il diritto alla cura; la questione sanitaria calabrese si è palesata agli occhi del resto d’Italia con la vicenda del coronavirus, ma è nota da tempo agli interessati.

I viaggi della speranza al Nord Italia, gli anni di attesa per un esame diagnostico, gli ospedali completati ma vuoti non sono materiale per una trasmissione televisiva ma rappresentano i problemi con cui i calabresi e le calabresi devono far i conti quotidianamente da anni, senza vicinanza alcuna né da parte della politica calabrese, che non ha avuto evidentemente il coraggio di portare fino infondo, anche ricorrendo a gesti estremi, una critica allo strumento del commissariamento, trasversalmente portato avanti nell’ultimo decennio dai Governi nazionali, né dallo Stato centrale, che continua ad ammettere la possibilità che esistano 21 sistemi sanitari diversi. Sulla sanità ma non solo, la Calabria pone al Governo una questione che non può dirsi risolta assolvendo soltanto all’imperativo legalitario. La legalità è la precondizione di ogni azione ma la rigenerazione di cui questa regione ha bisogno pretende competenze, intelligenza collettiva, sinergie. Al pari delle altre regioni d’Italia.

Non si vive bene in Calabria e non stupisce che l’ultima indagine sulla qualità della vita pubblicata solo qualche giorno fa da il Sole 24 Ore vede tutte le città della nostra regione agli ultimi posti di quella classifica. Ecco perché gli sforzi della politica, ad ogni livello, dovrebbero concentrarsi esclusivamente nel capire come quei 209 miliardi di euro che l’Italia presto riceverà per Next Generation EU possano essere utilizzati per abbattere queste disuguaglianze nei diritti e nelle opportunità.

Il centrosinistra non ha davanti a sé un semplice appuntamento elettorale ma un appuntamento con la Storia.

La partita del Recovery Fund non può essere gestita da un centrodestra in frantumi, che ha appaltato ai tecnici la gestione di una fase cruciale; né può essere risolta sciorinando cifre che a nulla valgono se non sono accompagnate da politiche capaci di migliorare concretamente da la qualità della vita dei calabresi e delle calabresi. Non è solo una questione di risorse, ma di visione, di programmazione, di governance.

Il centrosinistra non può abdicare al compito di esprimere una visione politica chiara della Calabria dei prossimi 30 anni, sulla quale chiedere la fiducia dei calabresi.

È un compito della politica che però non può essere assolto senza un ampio coinvolgimento delle migliori energie e competenze che arricchiscono la nostra regione, e orientando ogni azione in direzione delle future generazioni che non potranno solo accollarsi il peso di questa situazione ma hanno diritto ad immaginare un futuro possibile nella terra in cui sono nate.

*Anna Pittelli, componente Direzione nazionale PD