Sulla necessità di non disperdere la lezione del grande partito popolare che è stata la Dc ospitiamo una riflessione dello scrittore Mimmo Nunnari autore del recente libro sulla storia dei cattolici in politica “Democristiani”
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I maggiori opinionisti e anche molti politologi sostengono la necessità del “Centro” per far ritornare attrattiva l’offerta politica in Italia che lascia ormai da tempo indifferente la maggioranza degli elettori che si tengono lontani dalle urne pur di non scegliere tra i poli opposti destra e sinistra. La questione di come trasferire nel campo progressista i voti del “centro perduto” in verità è sempre più presente nell’agenda del Pd, tuttavia non sembra facilmente risolvibile, anzi c’è il rischio che il Centro in mancanza di riferimenti soddisfacenti slitti a destra. In sostanza i voti appartenenti all’opinione pubblica tendenzialmente di centro non si lasciano facilmente sedurre dalla sinistra, anche perché c’è la sensazione che il Centro - se non per un opportunistico fatto aritmetico - non è molto apprezzato a quelle latitudini politiche.
Se la situazione attuale di stallo e di polarizzazione con destra e sinistra in lotta aspra tra loro e moderati (Centro) ancora senza casa, la sensazione è che il corso politico corrente finisca col portare vantaggi solo alla destra come dimostrano i risultati elettorali e i sondaggi periodici sulle intenzioni di voto degli italiani. Per la sinistra la conseguenza è uno stillicidio: uno sgocciolamento lento ma inarrestabile che diventa giorno dopo giorno incubo. Eppure nei talk show che riempiono di noia le nostre serate l’intellighenzia giornalistica o quel che passa il convento in questo periodo infelice oscuro e involuto , continua a insistere nel sostenere che non ha senso in Italia immaginare spazi politici autonomi per il Centro, che pure, come dice la storia, in passato ha dominato a lungo la scena politica, con la Democrazia Cristiana, partito di centro che, come auspicava il suo fondatore Alcide De Gasperi, guardava a sinistra.
Quei tempi (rimpianti) sono lontani e irripetibili, mentre l’ambizione della sinistra post comunista di diventare forza egemone è sfumata. Il tentativo di Romano Prodi di fondere nell’Ulivo il centro riformista e cattolico con la sinistra post Pci anch’esso è ormai è solo un ricordo. Sulla scena, di quell’esperienza plurale è rimasto il Pd , il partito del “grande equivoco”, senza radici e senza un pantheon di grandi nel suo passato. Sulla carta dovrebbe essere l’erede della tradizione democristiana e comunista insieme, ma nella realtà di eredità (principi , valori, programmi) della balena bianca nel Pd non se ne vedono. Il Pd di Elly Schlein santifica Berlinguer segretario del Pci e contemporaneamente rimuove la memoria di giganti della politica come De Gasperi e Moro, statisti e leader democristiani. Questa scelta non casuale dice dove i piddini cercano le loro radici: nella sinistra comunista e non pure nella sinistra riformista o nel centro moderato e cattolico. La conseguenza è che la prima forza d’opposizione [Pd] resta “scoperta al centro”, come ha scritto Paolo Mieli in un recente editoriale sul Corriere della Sera: “Chissà se qualcuno al Nazareno si è accorto che lasciare alla destra l’intero spazio del centro è rischioso? A volte, come si è visto, nelle elezioni a turno unico, un pugno di voti può fare la differenza. E le elezioni politiche sono a turno unico”. Stefano Folli, sullo stesso tema su la Repubblica ha scritto: “Benché a qualcuno sembri un tema minore, il rapporto tra la coalizione di sinistra che aspira a governare (Pd-Avs-M5S) e l’elettorato moderato continua a essere un nodo irrisolto, impossibile da trascurare”. Certo, il sogno della sinistra era (e’?) poter vincere da sola, ma la realtà non è il sogno. Come diceva Goethe : “Felice colui che riconosce in tempo che i suoi desideri non corrispondono con le sue disponibilità “, e questo Pd a trazione di sinistra, che si è perso il centro per strada, senza calcolare il rischio che il centro possa scivolare a destra, sa quali sono le sue disponibilità per poter vincere senza alleanze: scarse o inesistenti . Insistere sul modello della polarizzazione della politica riconoscendo un ruolo esclusivamente alla destra e alla sinistra significa anche alimentare il conflitto e lo scontro in un Paese abituato a vivere in un sistema caratterizzato dalla presenza di molti partiti con un partito collocato al centro (la Democrazia Cristiana) che rimaneva al governo grazie al sostegno - anche quando non ne aveva bisogno - di un numero variabile di medi e piccoli alleati: Psi, Pri, Pli, Psdi. Senza essere un politologo e men che meno avere certezze su quale sistema possa essere migliore per l’Italia, ho tuttavia imparato, nel corso delle mie ricerche per scrivere il libro “Democristiani”, quanto il Centro sia stato determinante nella storia politica italiana, ma anche in quella europea , se non per la stabilità dei governi, quantomeno per la riduzione dei conflitti. Chi ha avuto modo di approfondire qual è il significato di Centro in politica, sa che non si tratta solo di una posizione geometrica tra Destra e Sinistra. Nella storia della politica europea il Centro fa riferimento a esperienze lontane di partiti come la “Zentrumspartei”, movimento politico tedesco costituito nel 1870 che sorse dalla “frazione cattolica” formatasi nel 1852 nel Landtag prussiano, a tutela dei cattolici e dei loro diritti. Si costituì poi a partito nel primo Reichstag, con Ludwig Windthorst, oppositore del cancelliere del Reich Otto von Bismarck, durante l’unificazione della Germania. Sciolto dai nazisti nel 1933 , Zentrumspartei riemerse dopo la Seconda guerra mondiale, nella Repubblica federale. Il grosso della sua eredità fu poi raccolto dall’Unione democratica - cristiana che ancora oggi in Germania è una forza politica con un considerevole seguito. In Italia il Centro si è quasi sempre identificato con la Dc, ma va detto che anche un piccolo partito, come il Partito Repubblicano, guidato da un leader prestigioso come Ugo La Malfa, ha svolto un ruolo importante negli anni Cinquanta e Sessanta a livello nazionale e internazionale. Che cos’era la Dc partito di centro, lo spiega nella prefazione del mio libro Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Partito Popolare : “Era un partito ramificato in tutto il territorio nazionale, spesso non visibile ma c’era, perché oltre a essere un partito era un popolo, quello descritto in questo testo sobrio e profondo di Nunnari: il popolo dei “democristiani”. Si, perché i democristiani oltre a essere stati un ben connotato ceto dirigente, erano un popolo. Erano un modo di pensare, un modo di essere, un sentiment (diremmo oggi) largamente diffuso, una rete di valori, il rifiuto dell’estremismo, ma non il conservatorismo, la convinzione profonda che per fare storia occorresse solidità di progetto e di convinzione. Erano – come diceva ancora Moro - intelligenza degli eventi, cioè intelligenza storica”.