L'indefinito villaggio di cui parla Pietro Lazzaro in Mille anime, romanzo scritto nel 1949, ambientato nell'Italia prebellica e fascista e pubblicato postumo nel 1987, è funestato da una piaga ben nota a chi abita, anche oggi, alle nostre latitudini: il niente.

L'aura di miseria che stagna nelle vie del paese posto al centro della storia, tra corpi estenuati dalla calura, mucchi di immondizie e galline e maiali che scorrazzano ovunque, ricorda da vicino alcuni angoli delle nostre province facendo della terra inventata dallo scrittore nato nel 1912 a Motta Filocastro, frazione di Limbadi, un vero e proprio universale. D'altronde, si sa, l'estrema miseria è uno dei fattori che pongono fuori dagli accidenti del tempo; forse non si sa che l'altro è l'immaginazione.

Lazzaro, dal canto suo, è ben consapevole che i regni lucenti dell'immaginazione consentono di evadere dalla realtà, dalla cronaca, persino dal disordine del ricordo. Così, dal morto lago del villaggio egli fa emergere alcune figure fantasmatiche che ne cristallizzano la disperazione: «a un certo punto qualcuno, senza un motivo evidente, interrompe la normale attività e […] si mette ad aspettare qualcosa, e questo qualcosa – ma lui forse non lo sa – è soltanto la morte». Il villaggio anela all'invisibile, all'ignoto, e lì però si ferma. Eppure, bisognerebbe andare oltre il niente, oltre l'inerzia e i suoi fantasmi.

L'ironico cinismo di Lazzaro, autore notevole ma quasi del tutto ignorato, non gli impedisce di ammettere che il vero Politico può fare, in tal senso, la sua parte, a patto che consideri «i suoi simili, e precipuamente gli individui del Popolo, non più che tubi digerenti». È vano attendersi dal volgo – ammette provocatoriamente in uno dei passaggi più significativi del romanzo – coerenza e costanza nella lotta, quella serietà e dignità che lo sottragga alla sua condizione e alla sua incredibile ignoranza e che lo faccia operare in funzione del bene della cittadina. In un contesto del genere, da tempeste, terremoti, inondazioni, siccità ed epidemie può derivare un vantaggio comune, a patto che il Politico (sempre in maiuscolo nel testo) sia un «uomo accorto e previdente».

È possibile che il meglio che ci si attende dalla nostra capacità di immaginare sia fare un bel documentario cinematografico della fame, dei debiti e del buio, ma guardandosi bene dal mutare il corso del sole e la direzione dei venti, ossia l'animo degli uomini. E se non si può, a quanto pare, permane il niente.