Non c’è nulla di più scandaloso del tradimento travestito da progresso, nulla di più vile dell’ipocrisia che celebra il vuoto come essenza.

Il decreto sulla scuola firmato dal ministro Valditara non è un atto d’amore per la cultura, ma è piuttosto, un congegno di potere, l'ennesima operazione chirurgica che scava nelle viscere del sapere per lasciarlo esanime. Si invocano tradizione e radici, ma quelle radici sono sepolte sotto la polvere di una storia stravolta. Le nuove misure non alimentano la vita, ma il controllo. Non parlano di libertà, ma di addestramento.

La scuola, un tempo ascensore sociale, santuario dell'eguaglianza e dell’emancipazione è stata ancora una volta profanata, al fine di essere trasformata in un’officina di conformismo.

Si declama modernità e funzionalità, ma in realtà si celebra la produttività come unico Dio. La cultura diventa un guscio vuoto, un ornamento esibito senza sostanza, sacrificata sull’altare di un sistema che non vuole cittadini, ma automi. Ciò che resta non è sapere, ma cenere.

Reintrodurre il latino nelle scuole medie è il simbolo di questo inganno. Si proclama come ritorno alla nobiltà culturale, ma quale latino ci verrà offerto? Quello opzionale di un'ora a settimana? Non di certo quello che vive, che interroga, che costruisce mondi, ma una lingua ridotta a un esercizio sterile, svuotata della sua potenza originaria. Un rituale vuoto, la celebrazione di un fallimento, l'evaporazione di una cultura che si è arresa al decoro e ha rinunciato al coraggio.

La cancellazione della "geo-storia" per concentrarsi sull’Italia e sull’Occidente è una ferita inferta alla memoria collettiva. Non è una scelta didattica, ma piuttosto un’amputazione. Questa scelta priva i giovani della possibilità di vedere il mondo come un intreccio di storie, di conflitti, di incontri. Al loro posto, si offre una narrazione univoca, autoritaria, che santifica l’Occidente e riduce tutto il resto al silenzio. Ma la storia vera non è un monumento, è un campo di battaglia. È il luogo delle fratture, delle voci che si scontrano, delle ferite che plasmano l’umanità. Cancellarla significa tradire il passato e, ancor più gravemente, negare il futuro.

E poi ci sono le concessioni alla cultura popolare, accostare Percy Jackson a Omero o Stephen King a Leopardi non avvicina i giovani alla lettura, ma li educa al consumo. Si insegna loro la facilità, la superficialità, il piacere immediato. Ma la cultura vera non consola, non coccola. È un atto di rivolta, una ferita aperta, uno schiaffo che deve scuotere e mettere in crisi. Ridurla a intrattenimento è disinnescarla, renderla innocua, sterile, senza linfa.

Questa riforma tradisce per l'ennesima volta la scuola nella sua essenza, non immagina un futuro diverso, ma lo soffoca. Non insegna il pensiero critico, ma l’adattamento.

La scuola, che un tempo era il luogo dove si coltivavano relazioni, sogni e ribellioni, si è ridotta a un laboratorio di omologazione, dove ogni scintilla di libertà viene soffocata sotto il peso del conformismo. I giovani non imparano più a sognare, ma ad abbassare gli occhi in cambio di un buon voto.

La "scuola azienda" non ha formato cittadini liberi, ma ha prodotto sudditi. Ha immolato l’immaginazione sull’altare della funzionalità, trasformando l’istruzione in un apparato burocratico che esalta il controllo e cancella la creatività. Ma senza immaginazione non c’è futuro. La scuola e la cultura, se vogliono avere ancora un senso, devono scuotere le fondamenta del Mondo, essere strumenti di rivoluzione e non di consolazione.

Questa scuola non educa alla vita, ma alla lenta agonia della sottomissione. Così, nel nome di una modernità tradita, stiamo costruendo una generazione incapace di immaginare, di desiderare, di essere. Una generazione a cui è stato tolto tutto, persino il diritto di essere umana.