Attraverso il suo sciopero della fame non sta chiedendo un atto di clemenza, il suo è un gesto di pacifica protesta contro misure inumane
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Attraverso il suo sciopero della fame Alfredo Cospito non sta chiedendo un atto di clemenza, il suo è un gesto di pacifica protesta contro misure inumane come il 41 bis e l’ergastolo ostativo, misure più volte contestate dalle Alte Corti Europee perché in aperto contrasto con i fondamentali diritti umani, misure che assimilano il nostro civile paese ai più rigidi e spregiudicati regimi autoritari.
In quegli stessi paesi sono centinaia i prigionieri che utilizzano lo sciopero della fame come azione non violenta così come fecero Gandhi, Martin Luther King, Bobby Sands, Patsy O’Hara, Juan Josè Crespo, Josè Manuel Sevillano, Barry Horne, Feride Harman, Helin Bolek, Ebru Timtik.
Ma lo sciopero di Cospito si traccia volutamente come ricatto, perché atto prettamente politico all’interno di un processo collettivo, come atto destabilizzante in un sistema inespugnabile come quello punitivo e carcerocentrico.
Il suo è un gesto che rischia di smuovere le coscienze in un periodo buio e torbido in cui si alternano fasi di populismo giustizialista ad acritiche e asettiche forme di non ben definito politicamente corretto.
Lo si chiama volutamente ricatto perché il suo è un appello disperato contro un sistema giustizialista in cui è sempre più frequente la sproporzione tra i fatti commessi e le pene inflitte. Lo si chiama ricatto perché la sua morte, in una di fase di forte recessione economica, culturale e valoriale rischierebbe di risvegliare il sonno del popolo dinanzi al progetto di creare pericolosi precedenti di escalation prive di ratio giuridica. Lo si chiama ricatto perché quello di Cospito è il tentativo di smascherare l’idea di poter applicare arbitrariamente misure nate come limitate ed eccezionali anche ai casi ordinari.
«L’articolo 41 bis è incostituzionale, sia per come è strutturato, sia per come è applicato. La misura, che non a caso viene chiamata dai media carcere “duro”, si trova in contrasto con il dettato della Carta». Queste non sono le parole di un pericoloso sovversivo ma di Gerardo Colombo ex magistrato famoso per aver condotto inchieste come Mani pulite, parole che nella narrazione mainstream risuonano fuori dal coro ma che si uniscono alle voci di centinaia di associazioni politiche, sociali, cattoliche, alle voci di attivisti e attiviste, docenti, giuristi, artisti che in questi giorni si appellano al rispetto della vita e della dignità della persona. Corresponsabile è chi volutamente o per indifferenza non ritiene assolutamente necessario ristabilire il senso di uno stato democratico di diritto.
*Associazione Yairaiha onlus, assessore ai diritti civili Comune di Rende.