Accade che in Francia, secondo alcune letture assai pretenziose dilaniata da cinque anni di macronismo piramidale, s’è aperta una nuova stagione politica caratterizzata, e questo è vero, da una frattura sociale profonda: i risultati delle elezioni politiche per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale misurano questo vento che spira da Oriente. E probabilmente potrebbero dare qualche indicazione alla nostra politica, che al più tardi il prossimo anno – salvo casi eccezionali, disciplinati dall’articolo 60 della Costituzione – sarà chiamata a misurare le sue posizioni in occasione delle elezioni politiche, le prime dopo la (disastrosa, a parere di chi scrive) riduzione del numero di seggi parlamentari: si passerà, infatti, da 945 parlamentari ad appena 600: una sforbiciata lineare che ha cavalcato le posizioni demagogiche di un movimento politico, il MoVimento 5 Stelle, ed i cui effetti sconteremo nel corso della XIX legislatura. 

Anche i cugini d’Oltralpe, dunque, a dispetto di un sistema elettorale che premierebbe la formazione di due forti poli contrapposti – e così è stato, in passato: da una parte i socialisti, e dall’altra la destra gollista; agli estremi, cespugli di radicalismo “gauche” e di lepenismo – si troveranno a sperimentare ciò che in Italia accade dal 2013, anche con leggi elettorali differenti: una geografia parlamentare frastagliata, riflesso di ciò che cova in seno alla società cosiddetta civile. E ciò dimostra che quando le faglie sottotraccia del cambiamento s’irrobustiscono non c’è legge elettorale che tenga: il risultato sarà, nella migliore delle ipotesi, caotico. E chiamerà la politica ad interpretare e, se del caso, governare questo fenomeno.

In Italia il fatto significativo, quello degno di nota anche se slegato ovviamente dalle dinamiche francesi, è la recente implosione della galassia grillina, con la defezione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, già capo politico del MoVimento 5 Stelle, assieme ad un nutrito gruppo di parlamentari a lui vicini che andranno a costituire gruppi parlamentari autonomi. Segnale, questo, che non può essere liquidato semplicisticamente come volontà di preservare la "poltrona", ma che probabilmente indica il cambiamento di una fase politica: i temi classici del MoVimento 5 Stelle, quelli identitari, a partire da una fumosa "lotta alla casta" con tanto di metafora sulle scatolette di tonno assimilate al Parlamento, alla prova dei fatti hanno determinato risultati assai deludenti. Il ministro Di Maio, checché se ne dica, ha dimostrato di voler superare il rivendicazionismo sterile della demagogia, che pure ha cavalcato con una certa perizia negli anni d'oro del grillismo. Buon pro gli faccia.

E in Calabria?

Da oramai quattro anni la Calabria ha la più folta rappresentanza parlamentare (dal 1948 ad oggi) di esponenti dello stesso movimento politico; il MoVimento 5 Stelle, inoltre, fino a pochi giorni fa è stato il gruppo parlamentare più numeroso sia alla Camera che al Senato, roba che avrebbero dovuto rivoltare gli emicicli parlamentari come un calzino per quanto riguarda le cose di Calabria – il M5S, nel 2018, per la parte proporzionale alla Camera ha preso il 43.4% ed è parte integrante tanto di questo governo, quanto di quello precedente, il Conte "bis", ed anche di quello precedente ancora, il Conte "del cambiamento".

Risultati prodotti?

Se rapportata alla consistenza della rappresentanza parlamentare, la cifra oscilla tra lo zero e lo zero virgola. Ma c'è ancora tempo, meno di un anno a dire il vero, per rimediare.