Demagogia e questioni di principio dominano la nuova normativa che punisce chi ricorre alla gestazione per altri anche se la pratica viene eseguita in uno Stato estero dove è lecita
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Dunque, siamo in attesa della promulgazione della legge che definisce reato universale la pratica procreativa della gestazione per altri.
Si potrebbe dire che ‒ dall’inizio della XIX Legislatura – finalmente il Parlamento ha redatto un testo di legge (oltre a quello sul regionalismo differenziato e in attesa di quello sulla “sicurezza”); tutto il resto è decretazione d’urgenza (oltre 40 decreti-legge). Se continua così, il Governo Meloni supererà di gran lunga i suoi predecessori che, secondo la testata Openpolis, sono i governi Berlusconi IV (con 80 d.-l.), Draghi (con 64) e Renzi (con 56). Per l’intanto, la legge appena pubblicata è l’ennesima prova di forza basata sul ritornello demagogicamente orientato per cui tutto è penale, tutto è sanzione, tutto è reato. Ora, addirittura, il reato amplia la sua portata e investe l’intero globo terracqueo.
Anche se già esiste un esplicito divieto penale della gestazione per altri (basta leggere l’art. 12 della legge n. 40 del 2004), la legge in fase di promulgazione interviene non già sul quantum della pena ma esclusivamente sull’applicazione della legge penale italiana a fatti commessi da un cittadino italiano in uno Stato estero.
A oggi mai nessuno è stato punito per aver fatto ricorso alla gestazione per altri all’estero proprio perché tutte le condotte tendenti alla realizzazione di tale pratica procreativa sono realizzate all’estero (sic!), e, stante il principio della doppia punibilità (secondo l’art. 9 del codice penale è punito il cittadino che commette in territorio estero un delitto punito anche dalla legge italiana), non si poteva evidentemente applicare una sanzione per condotte tenute in un Paese straniero in cui queste sono non solo consentite (lecite) ma anche regolate e disciplinate.
È evidente la finalità dell’estensione dell’incriminazione al fine di impedire l’elusione del divieto di gestazione per altri, che in Italia avviene attraverso il c.d. turismo procreativo. Il mezzo per raggiungere il fine è quello della definizione di reato universale per un fatto che non è universalmente reato, sta qui il problema. E non è universalmente reato a guardare a tutti quei Paesi anche occidentali, liberali e sicuramente democratici in cui tale pratica è lecita.
Ma c’è di più; il testo appena approvato non solo non rinvia al limite del principio della doppia incriminazione ma soprattutto deroga a quella disposizione già presente nel Codice penale (art. 9, c. 2) per cui se si è dinanzi a un delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale non troppo elevata il colpevole è punito «a richiesta» del Ministro della Giustizia.
La messa ini discussione della deroga è di estremo rilievo in quanto fino a ieri ‒ per il delitto comune del cittadino all’estero punito con la reclusione inferiore ai tre anni, come è il caso che ci interessa ‒ si rinviava non già all’obbligatorietà dell’azione penale ma all’opportunità o meno di procedere mediante una decisione politica. Il rinvio alla decisione governativa, d’altronde, è richiesto dalla delicatezza dei rapporti internazionali, dalla diversità di sensibilità etiche in materia presenti nei vari ordinamenti, in cui, per esempio, esiste la distinzione fondamentale tra la gestazione per altri come atto gratuito di solidarietà umana e quella commerciale, alla quale si accede con contratto di prestazione dietro corrispettivo. L’introduzione di un reato universale in tema di gestazione per altri è, quindi, inutile.
Con il testo di legge in discussione, invece, si è intervenuti sulla normativa (art. 7, n. 5, c.p.) che riguarda i reati commessi all’estero, quella cioè che a oggi tende a punire con la legge italiana il cittadino che commette in territorio estero reati come quelli contro la personalità dello Stato oppure quelli particolarmente gravi e odiosi come la tratta di donne e di minori, l’abbandono di persone minori o incapaci, la propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa, il traffico di organi umani, la mutilazione dei genitali femminili, etcetera.
Ritornando alla gestazione per altri, rileviamo, però, che siamo dinanzi, per la legge italiana, a un reato che è punito con la reclusione da tre mesi a due anni, come, per intenderci, il furto semplice (quello di una pera al supermercato!); quindi, un reato considerato (almeno sotto il profilo della pena restrittiva della libertà personale) non grave per la legge italiana, neanche per quella appena approvata.
Pur obbligata l’autorità giudiziaria a esercitare l’azione penale contro chi si reca all’estero per praticare la gestazione per altri (fino a ieri rimessa alla richiesta da parte del Ministro), e venuto meno il vincolo della doppia incriminazione, rimane da chiarire come potrebbe mai essere punito quel fatto senza la cooperazione giudiziaria dello Stato estero in cui quel comportamento è lecito. Ci troveremmo dinanzi a un processo penale senza prove (sic!). Dalla concretezza al più alto livello dell’effimero e della propaganda più esasperata.
Si è, quindi, dinanzi a una norma penale che ha una portata simbolica, ma anche pericolosa nella misura in cui essa genera assenza di tutele del superiore interesse del minore (il c.d. best interest), principio, questo, che guida tutta la giurisprudenza sia nazionale che sovranazionale.
Il ricorso al Codice penale non può molto, se non nulla, anzi rimane del tutto parziale se non ci si preoccupa minimamente dei soggetti più deboli e vulnerabili, ovverosia di quei bambini che nasceranno attraverso la gestazione per altri e che, pur non avendo colpa, continueranno a non essere riconosciuti e quindi non accolti.
Tutta la giurisdizione ‒ Corte europea dei diritti dell’uomo, Cassazione e Corte costituzionale ‒ chiedeva sì un intervento del Legislatore ma per disciplinare un fenomeno che è talmente complesso da non dover essere trattato in modo così sciatto e ridotto a mero slogan. Abbiamo bisogno di tutto tranne che di credere a un diritto penale onnipervasivo, al quale questo Governo ha deciso di rinviare tutto fin dal suo primo decreto, per intenderci, quello contro i “pericolosissimi” rave party.
Il risultato della definizione di un incomprensibile reato universale sarà quello che ogni richiesta di trascrizione da parte dei genitori intenzionali equivarrà a un’autodenuncia, a cui seguirà un procedimento penale e, quindi, il rinvio della questione alla Corte costituzionale. Corte che ha chiaramente ammonito il Legislatore a considerare la «imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori» (sentenza n. 32/2021), la qual cosa manca del tutto in questa leggina. Ancora una volta si assisterà a una supplenza da parte del Giudiziario di un Legislatore silente o che parla in modo gravemente parziale col solo scopo di criminalizzare, per esempio, la libera scelta solidale.