La sera del 21 ottobre, un caro amico mi ha messo a conoscenza dell'uscita di questa perla, che ambisce a essere un video promozionale per il territorio calabrese.
Prima di passare a qualsiasi considerazione di tipo artistico (e fidatevi, ce ne sono parecchie), vi propongo un’analisi di tipo economico. Per chi non mi conoscesse bene, è forse necessario precisare che, oltre ad essere calabrese, sono diplomato in Produzione Cinematografica presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma (la stessa scuola che ha frequentato Gabriele Muccino), dunque, penso di conoscere, un minimo, il funzionamento di una produzione cinematografica.

 

Ebbene, detto ciò, è interessante snocciolare qualche dato: questo spot di 6 minuti più titoli di coda (per una durata totale di 8.09 minuti) ha avuto un budget totale di 1.633.000,00 € che si traduce in un costo per minuto di 201.854,14 €. Per dare un'idea delle cifre di cui stiamo parlando prenderò a riferimento alcuni film degli ultimi anni che tutti conosciamo: Gomorra di Matteo Garrone (2008) ha avuto un Budget di 6,2 mln € e un costo per minuto di 45.255,47€; La grande bellezza di Paolo Sorrentino (2013) ha avuto un Budget di 9,2 mln € e un costo per minuto di 65.248,23€ (anche solo considerando la versione da 141 minuti e quindi, di fatto, falsando per difetto il calcolo). Ma anche volendo prendere uno dei film più costosi della storia del cinema italiano: Baaria di Giuseppe Tornatore (2009) ci troviamo davanti ad un budget: 28 mln € con un costo per minuto di 171.779,14€.
Ora, a conti fatti, con 201.854,14€ al minuto, lo spot di Gabriele Muccino, risulta, in tempi moderni, uno dei video promozionali più costosi della storia d'Italia. A questo punto sarebbe interessante conoscere, relativamente a tale progetto, come è stato distribuito il budget tra:
Costi sopra la linea, ovvero quei costi per la remunerazione del personale artistico (Gabriele Muccino, Raul Bova, Rocio Munoz Morales e altri);
Costi sotto la linea, ossia quelli relativi alla remunerazione della troupe (tra cui, si spera, ci fosse almeno qualcuno che in Calabria ci vive) e che attengono la vera e propria realizzazione del progetto.
Questa distinzione pare fondamentale per comprendere bene come sia stato distribuito un tale ammontare di fondi pubblici e quanto di questi fondi sia rimasto in Calabria.

 

Ora, ciò che mi chiedo e che, da calabrese, mi fa alquanto incazzare è: era proprio necessario destinare 1,63 milioni di euro a un regista come Gabriele Muccino che di calabrese ha ben poco, e a Raul Bova, che di calabrese ha solo il luogo di nascita del padre? Non sarebbe stato meglio guardare ai tanti talenti calabresi esordienti nel panorama cinematografico italiano e offrire loro questa possibilità? In Calabria, per fortuna, questi talenti non mancano, basti pensare a Fabio Mollo, regista reggino con all’attivo già 2 film (“Il sud è niente” e “Il padre d’Italia”); Alessandro Grande, regista catanzarese con all’attivo un David di Donatello per il miglior cortometraggio (“Bismillah”); Aldo Iuliano regista crotonese vincitore del concorso "I love gai - Giovani Autori Italiani" a Venezia 74 con il suo cortometraggio “Penalty”; Jonas Carpignano, italo-americano con origini di Gioia Tauro, autore di “A Ciambra” film scelto per l’Italia nella corsa agli Oscar 2018; Gino Palummo, giovanissimo regista di Fiumefreddo Bruzio e tanti altri, registi, attori e attrici che in Calabria vivono, hanno lavorato e lavorano costantemente. Tanti che questa terra la conoscono, la amano e avrebbero saputo presentarla meglio.


Che dire? Un’altra occasione mancata per fare qualcosa di buono, grazie Regione Calabria, per essere sempre capace di fare le scelte migliori, soprattutto per le giovani generazioni, e per essere sempre in grado di farti ridere dietro da chi critica la Calabria, e continuerà a farlo, e da chi ci vive e continua a sperare in un cambiamento.

Considerazioni sugli aspetti artistici

Non molti sanno che esiste un pamphlet di presentazione del progetto, ovvero un documento, redatto da una casa di produzione cinematografica romana, sulla base del quale la Regione Calabria ha deciso lo stanziamento della cifra a supporto del progetto (1,63 mln €).
Nel documento si descrive il tipo di rappresentazione che verrà data della Calabria nel video-spot. Il progetto si propone di fare esplorare agli spettatori: "Una terra bagnata da due mari, con montagne e foreste incontaminate. Una terra ricca di storia, cultura e natura, con spiagge dai colori mozzafiato e coste rocciose bruciate dal sole.” Andando avanti nella lettura, la promessa è quella di condurre il pubblico, insieme alla coppia di protagonisti in "un viaggio nella regione, per assaporarne le delizie, esplorarne i luoghi più autentici e sentirne il profumo”.

 

Al termine della visione ci interroghiamo su quali siano le sequenze nelle quali sono state presentate le montagne e le foreste incontaminate (Pollino? Sila? Aspromonte?), le testimonianze relative alla storia (castelli normanni, anfiteatri greci, musei, chiese e cattedrali, conventi), e testimonianze relative alla cultura: Calabria grecanica? Occitanica? Arbereshe? Dove sia stata mostrata la cultura artigiana delle ceramiche, dei tessuti e della seta, del legno; l'ulivo, la vite le cui colture hanno impregnato le vite dei calabresi per secoli.


Non abbiamo visto niente di tutto questo. Nella mucciniana rappresentazione, invece, Calabria “Terra Mia” appare come una terra senza storia né cultura grazie a una sceneggiatura in cui l'ignoranza regna sovrana, il che appare chiaro fin dal congiuntivo sbagliato (e dall'uso non casuale di un verbo assai infelice in una relazione di coppia) nella prima battuta “Dove vuoi che ti porto?”, e si ripropone più avanti quando, in un dialogo completamente privo di senso logico, il protagonista si rivolge alla propria compagna, e le chiede: “Lo sai come si fa a sapere che le arance sono buone? Guarda, devono avere la forma che la natura le ha dato". La pulzella, cognitivamente naive, lancia un’esclamazione stuporosa e, per dimostrare di aver ben compreso il concetto, replica interrogativa “Perché la natura fa a modo suo vero?”. E lui, con lapidaria indulgenza, risponde “Certo.” Un altro scambio degno di nota è la battuta della fidanzata spagnola che, ammaliata dalla bellezza del nostro mare, esclama “Io da qui non me ne vado più!”. Anche in questo caso la risposta data appare più che coerente: “E io ti amo!”. A completamento del video, la giovane donna, sempre avvolta da un manto di evanescenza, esprime un’ultima considerazione: “Oh ma quanto son buone 'ste fiche!” e lui ride. Fine

 

Ora, partendo da quest’ultima perla, ma riferendoci a tutto lo scambio di battute tra lui e lei, e all'uso di quell'infelice verbo che di solito viene adoperato per oggetti e cose inanimate, verrebbe quasi da domandarsi: di cosa parliamo quando parliamo di “unconscious (ma manco troppo) bias". Possibile che, nonostante tutto ciò che sta accadendo nel mondo occidentale oggigiorno, rimaniamo ancorati a questa immagine dell’uomo che “deve mostrare” o "deve portare" e della donna che "deve essere portata" o alla quale “deve essere mostrato”, questa anacronistica rappresentazione da pigmalione che sarebbe ora di accantonare. Dovremmo ormai essere coscienti che il linguaggio ha un impatto considerevole e una responsabilità attiva sulla circolazione strisciante di stereotipi sessisti. Ma visto che appartengo al genere maschile, penso sia opportuno fare un passo indietro e lasciare la parola alle donne.

 

Mi piacerebbe concludere con una riflessione su Muccino pseudo-intellettuale, quello che qualche anno fa, senza alcuna remora, si riferiva al Pier Paolo Pasolini regista come a: “Un non regista, che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava…” e ancora “Il cinema pasoliniano aprì le porte a quello che era l’anti-cinema in senso estetico e di racconto…”.

 

Ebbene, non voglio entrare nel merito di un confronto tra stili e filmografie, ma qualcosa da dire ci sarebbe, sul cinema di poesia di Pasolini, sull'esigenza di questo regista di immergersi nell'animo dei propri personaggi, sul viaggio che nel 1959 lo portò ad attraversare tutta l’Italia redigendo un reportage dal titolo "La lunga strada di sabbia” ed è che quell’uomo era un intellettuale animato da una sincera volontà di conoscere l’altro, di esplorare i territori, di parlare con la gente, di capire e in ultimo anche di esprimere un giudizio socio-politico forte. Tutto ciò appare estraneo a Gabriele Muccino e, di certo, non traspare da un lavoro come Calabria Terra Mia.
Mia, appunto, non sua.

 

*Ivan Buttiglieri, videomaker