Chi ne esce meglio è Giorgia Meloni che almeno ha dichiarato a chiare lettere l’incompatibilità della destra di governo con il fascismo. Molto più equivoco il suo cerchio magico
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Va doverosamente riconosciuto che, al netto di ciò che politicamente si può pensare di lei, Giorgia Meloni, con la sua dichiarazione di “incompatibilità” con il fascismo, sul 25 Aprile ha preso posizione in maniera chiara ed inequivocabile e che la sua visita personale alla ex partigiana Paola Del Din è stato un gesto significativo altrettanto chiaro ed inequivocabile.
Ahinoi, però, di questa storica presa di distanza dal fascismo non c’è traccia nei suoi più stretti collaboratori istituzionali e di governo.
Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, dopo averci spiegato che il reddito di cittadinanza produce solo “vagabondi”, come Ronald Reagan che negli anni Ottanta del Novecento diceva che il sussidio di disoccupazione rende “pigri”, dopo averci virtuosamente informato che non c’è niente di menomante nel lavorare la terra (e siamo perfettamente d’accordo, magari potrebbe cominciare proprio lui), di recente, per fronteggiare la crisi demografica nazionale, ha proposto la detassazione per chi mette al mondo più di due figli.
Si potrebbe sorvolare sulla mostruosità dell’idea di una simile procreazione per convenienza economica in una società come la nostra, che non fa figli semplicemente perché non ha nessuna idea non solo di futuro (ed i figli sono sempre un investimento nel futuro) ma nemmeno di sé stessa come comunità di individui in relazione gli uni con gli altri, una società completamente intontita dal mito della “libertà”, che è sempre e solo libertà individuale e non vuole essere limitata dall’impegno che comporta la paternità e la maternità, così come è narcotizzata dall’idea che la libertà sia sempre e solo libertà di consumo.
Si potrebbe, allo stesso modo, sorvolare sugli effetti catastrofici che l’idea di Lollobrigida avrebbe sull’economia nazionale se applicata davvero, in primo luogo l’espulsione massiccia delle donne dal mondo del lavoro, secondariamente il massacro definitivo dei servizi pubblici.
Va bene, si potrebbe dire, questa è cattiva politica ma non è fascismo.
Ma il fatto è che questo signore adduce, come scopo di una simile soluzione del problema demografico, la necessità di mantenere una sorta di “supremazia etnica” rispetto all’immigrazione straniera. A quando la reintroduzione della tassa sul celibato per chi non da figli alla Patria?
E poi c’è il solito indicibile Ignazio La Russa che, dopo avere assunto il ruolo di improbabile storico con le sue amenità su Via Rasella e sulle Fosse Ardeatine, ha vestito i panni, ancora più improponibili, del filologo linguista, spiegando che nella Costituzione la parola “antifascismo” non c’è.
La grottesca precisazione terminologica lancia infatti il messaggio che, non essendoci l’obbligo, morale, politico ed istituzionale dell’antifascismo nella legge fondamentale dello Stato, lui possa essere legittimato democraticamente con tutto il suo passato fascista, per giunta “sanbabilino” negli anni in cui era un giovane e non troppo promettente studente di legge.
Non è tutto. Ignazio La Russa è il Presidente del Senato, cioè ricopre una importante carica istituzionale dello Stato. Si suppone quindi che nella giornata del 25 Aprile debba essere al fianco delle altre autorità istituzionali.
Invece quest’anno ha deciso di prendersi una vacanza proprio quel giorno, perché aveva l’urgenza di rendere omaggio a Jan Palach, il giovane cecoslovacco che nel gennaio 1969 si tolse la vita bruciandosi in una piazza di Praga per protestare contro l’invasione sovietica del suo paese.
Ebbene, si dirà, che c’è di male? Niente in sé e per sé, anzi c’è molto di bene.
Ma è sospetto, anzi è decisamente un brutto segno, che La Russa, invece di andare a Praga il 14 gennaio, anniversario dell’auto-martirio di Palach, ci vada proprio il 25 aprile.
Questo gesto si configura dunque come un affronto ai martiri della Resistenza italiana, ai quali il nostro Presidente del Senato ha deliberatamente “preferito” un martire cecoslovacco che avrebbe potuto onorare in qualsiasi altro momento.
Il senso di questo gesto è chiarissimo: contrapporre, per poco nobili motivi politici ed ideologici, un martire cecoslovacco che si suppone “anticomunista” ai martiri italiani sicuramente antifascisti e preferire il primo perché sentito come più vicino.
Ebbene, si rassegni, Ignazio La Russa, perché Jan Palach non solo non è mai stato un fascista ma è una figura che, nemmeno con la più ardita acrobazia storiografica, può essere attribuito alla destra, in qualsiasi modo intesa.