Quest’anno si celebra il Centenario della nascita dello scrittore e giornalista di Vazzano, nel Vibonese: nelle sue opere non abbandona mai la trincea dalla quale descrive la contraddittoria realtà della nostra regione
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Di Sharo Gambino, giornalista e scrittore di Vazzano, nel Vibonese, ricorre quest'anno il centenario della nascita. È autore di inchieste e corrispondenze, oltre che di sceneggiati per la televisione e per la radio, di racconti (uno a fumetti), di poesie e di alcuni pregevoli romanzi (riproposti nel tempo da Rubbettino) tra i quali spiccano Sole nero a Malifà, Fischia il sasso e Vizzarro. Inoltre, è stato il primo, nel 1971, a scrivere un saggio sulla 'ndrangheta, La mafia in Calabria, che ebbe tre edizioni e fu seguito da diversi approfondimenti.
C'è un primo denominatore comune in tutte le opere di Gambino: è la grande attenzione per la struttura della narrazione, a prescindere da quello che è il suo oggetto, che consente tanto all'autore di reportage quanto al romanziere di fornire una base solidissima alla denuncia sociale. Questa è sentita come vero e proprio dovere morale e costituisce il secondo comune denominatore della produzione dell'intellettuale calabrese. Nel saggio del '71, ad esempio, concluderà la trattazione con una serie di interrogazioni, tutt'altro che retoriche, che ordinano la riflessione incalzante condotta nelle pagine precedenti: «chi controllerà i grossi appalti? Colui, certamente, che riuscirà ad occupare il vertice assoluto (che alla mafia calabrese è sempre mancato) ed avrà, in tal modo, la possibilità di accaparrarsi una gran fetta, diversi miliardi, con i subappalti, colla fornitura di materiali inerti, di manovalanza ecc. Così, insomma avvenne la costruzione dell'autostrada del sole, ma con più potenza ed autorità accentrata in una sola mano. La mano di chi? Chi si sta spianando la strada per sedere in cima alla piramide mafiosa calabrese, ristrutturata secondo il modello siciliano?».
Quasi vent'anni dopo, si potrà apprezzare il modo in cui Gambino in Accadde in Calabria organizza il ricordo della piena dirompente di una fiumara che lambisce Serra San Bruno, aggiungendo all'attento rilievo cronachistico una piacevole perizia espressiva: «In montagna i ruscelli s’inturgidirono, gonfiarono e scesero giù a rovina a mescolare le acque con quelle tumultuose dell’incollerito Ancinale attraverso la pianura illuminata dai bagliori rossastri. Si formò un’onda immensa alta e investì l’abitato in pieno, allagò strade e piazze, abbatté la cabina della luce elettrica, vecchie case, sfondò portoni e spalancò i battenti alla chiesa matrice, divelse saracinesche, entrò vorticando nei negozi e nei magazzini, nei bassi, minacciò i piani alti, dove le famiglie piangendo raccomandavano l’anima a Dio. Per tutte le eterne ore della notte tempesta e raffiche di vento. E chi osava da dietro i vetri affacciarsi sull’orrendo spettacolo illuminato a giorno vedeva l’acqua salire scura e vorticosa e su di essa la corsa pazza di tronchi, ramaglie, mobili, suppellettili ed altro che spesso non s’intuiva cosa potesse essere».
Come è facile notare, Gambino non abbandona mai la trincea dalla quale descrive la contraddittoria realtà calabrese. Opera in punta di penna, fino alla sua morte nell'aprile del 2008, affinché la sua voce, dirà in un'intervista del 1995, possa essere sentita al di là del Pollino e del Dolcedorme. Quella voce che, nel ricordo di chi lo ha conosciuto, non ha mai alzato, ma che, con garbo, pacatezza e passione, ha provato a disegnare l'immagine di una Calabria diversa da quella folcloristica e disperata che oggi prevale.