La scarcerazione di soggetti che dimostrano di avere legami solidi con il territorio e le organizzazioni cui sono associati significa ignorare il pericolo che gli stessi possano riprendere il proprio posto nelle gerarchie mafiose
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Appena un mese fa avevo avuto modo di esprimere alcune perplessità sulla norma cosiddetta “svuotacarceri” contenuta nell’art. 123 del d. l. n. 18/2020. Manifestavo, in tale circostanza, i miei dubbi circa l’utilità della concessione della detenzione domiciliare a migliaia di detenuti condannati per gravi reati, rappresentando, allo stesso tempo, il pericolo di un allentamento della tensione da parte dello Stato nella lotta alla criminalità.
Mi sembrava, in quell’occasione, che lo Stato stesse dando un segnale negativo alla cittadinanza, già scossa dagli sconvolgimenti causati dalla pandemia in corso, dal momento che l’approvazione della misura di favore per i carcerati avvenivaa seguito di violente manifestazioni organizzate all’interno degli istituti penitenziari.
L’unica nota positiva era rappresentata dalla circostanza per cui la norma facesse salve le ipotesi di reato di maggior allarme sociale, tra le quali quelle concernenti i delitti di mafia e terrorismo.
Tuttavia,è notizia di questi giorni che l’emergenza determinata dalla diffusione del COVID-19 ha costituito l’occasione per concedere ad alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata, in regime di 41 bis, di scontare la pena presso il proprio domicilio.
Ciò sarebbe avvenuto, stando a quanto emerso dalle notizie apparse sulla stampa, in applicazione delle norme sull’ordinamento giudiziario.
Epperò, non è certo priva di significato la circostanza per cui, poco più di un mese scorso, in data 21 marzo del 2020, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria abbia inviato una circolare per chiedere alle varie carceri di stilare una lista dei detenuti con più di settant’anni di età, affetti da alcune patologie, e di fornirla “con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza”.
A me sembra, a prescindere dalla valutazione del singolo caso, rimessa al prudente apprezzamento del magistrato, che concedere ai detenuti per reati gravissimi, i quali attualmente scontano la pena in regime di carcere duro, la possibilità di scontare il residuo della pena ai domiciliari, rappresenti un grave vulnus per la lotta alle mafie, nonché un’offesa alla memoria di tutte le vittime cadute per mano della criminalità organizzata.
La concessione della detenzione domiciliare a soggetti che dimostrano di avere legami solidi con il territorio e le organizzazioni cui sono associati significa, ancora, ignorare il pericolo che gli stessi possano riprendere il proprio posto nelle gerarchie mafiose, vanificando l’intenso lavoro svolto da Magistratura e Forze dell’ordine per assicurarli alla giustizia.
Sarebbe, allora, quantomeno opportuno che tali delicatissime decisioni venissero adottate previo parere della Procura Nazionale Antimafia, subordinando, quindi la concessione della detenzione domiciliare, ad un’attenta valutazione circa la pericolosità del soggetto richiedente la misura e il contesto in cui lo stesso verrebbe a inserirsi dopo la scarcerazione.
Solo in questo modo potranno coniugarsi il diritto alla salute del detenuto con le esigenze di certezza della pena, in un momento storico in cui appare fondato il pericolo di una recrudescenza del fenomeno mafioso, impegnato a sfruttare l’emergenza in corso per acquisire il consenso delle fasce più deboli della popolazione.
Pippo Scandurra, vicepresidente nazionale di SOS Impresa – Rete per la legalità