La nota con cui il Vaticano ha espresso riserve sul disegno di legge che punisce gli atti discriminatori contro omosessuali, transessuali e disabili sembra frutto di una erronea interpretazione del testo normativo. Ecco perché
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A ciel sereno è piombata sulla (immobile) discussione senatoriale una nota verbale il cui mittente ha sede in uno Stato estero, la Città del Vaticano. È passato ormai qualche giorno dalla notizia e questo permette di poter ragionare con la dovuta attenzione ma anche con la necessaria distanza dal fatto, soprattutto alla luce della decisione politica che vorrebbe la discussione in Assemblea a iniziare dal prossimo 13 luglio.
Non si nasconde al lettore che la lettura della missiva lascia quantomeno perplessi, e ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo, perché dimostra che il ddl Zan, al di là del Tevere, non è stato letto con l’attenzione dovuta; in secondo luogo, perché il Concordato fra i due Stati nulla c’entra con la bozza oggi in discussione.
La nota del Vaticano
Basta riportare nella sua interezza la nota perché il lettore ne possa cogliere l’infondatezza argomentativa: «[…] la Segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina. Tale prospettiva è infatti garantita dall’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di Revisione del concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984. Nello specifico, all’articolo 2, comma 1, si afferma che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. All’articolo 2, comma 3, si afferma ancora che “è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La Segreteria di Stato auspica pertanto che la Parte italiana possa tenere in debita considerazione le suddette argomentazioni e trovare una diversa modulazione del testo normativo in base agli accordi che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione […]».
Le perplessità
Da dove nasce lo sbigottimento? Dal fatto che per lo Stato Vaticano (e chi per esso) non bisogna tutelare le libertà di soggetti vulnerabili in quanto ciò limiterebbe la libertà di culto dei cattolici. La qual cosa risulta talmente incomprensibile che si ritiene che il testo in discussione sia stato non letto o, peggio ancora, non capito. La norma penale - per il ddl - punisce le condotte di istigazione alla discriminazione o di commissione di atti di violenza o provocazione alla violenza.
Ciò che si punisce è l’espressione volta a «determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti», non già l’espressione legittima di idee. Si è dinanzi ad un allargamento anche ai motivi di sesso, genere e disabilità della fattispecie penale che (ad oggi) tutela la (sola) discriminazione razziale, etnica e religiosa: quindi, continueranno a essere lecite espressioni come «il matrimonio si fonda sull’eterosessualità», «gli omosessuali non possono adottare bambini», «la gestazione surrogata è una aberrazione», … Ciò che non sarà possibile è l’‘istigazione’ a commettere atti discriminatori contro gli omosessuali, i transessuali, i disabili, e ciò in quanto i discorsi di odio e di discriminazione non possono trovare legittimità nel nostro sistema costituzionale. Non potrà, quindi, esser detto, davanti a una coppia di omosessuali, che il loro scambiarsi effusioni è contrario al buon costume o che gli omosessuali sono ‘naturalmente’ pedofili o che i transessuali sono uno ‘scherzo della natura’, nel caso in cui tali espressioni possano incitare contro tali persone l’odio di altri, perché pronunciate a fini discriminatori. Ciò non è libera manifestazione del pensiero, ma istigazione al reato.
In che modo tale (nuova) fattispecie penale costituirebbe un limite alla «missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione» che il Concordato affida alla Chiesa?
E ancora, in che modo potrebbe non essere garantita ai cattolici «e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» in presenza di una norma che allarga i delitti già previsti contro l’uguaglianza (per motivi «razziali, etnici, nazionali o religiosi») anche a quelli che si fondano su ragioni legate al «sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità»?
È la Costituzione a tutelare la libertà di culto
Non è il Concordato a tutelare la libertà di culto ai cattolici e la libertà di questi di professare la propria fede, ma è la stessa Carta costituzionale (art. 19 Cost.) con il solo limite che non si tratti di riti contrari al buon costume; stesso limite che incontra la libertà di espressione (art. 21 Cost.).
E allora, la difesa dalle ‘pressioni’ del Vaticano sul nostro Parlamenta e Governo non deve costituire il mero (seppur giusto) richiamo al rispetto del principio supremo di laicità (Corte cost., sent. n. 203/1989, che «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale») quanto piuttosto il rinvio alle libertà costituzionali garantite, come visto, dalla stessa Costituzione e alle quali – detto per incidens –il Concordato è subordinato.
Chi scrive crede (anzi ne è certo) che nelle sacre scritture, nelle tradizioni ecclesiastiche, nel magistero del Papa e dei vescovi, nel pubblico esercizio del culto, nell’esercizio del magistero e nel ministero spirituale, così come nel pensiero espresso dai fedeli, non esista espressione o altra manifestazione del pensiero che possa essere classificata come ‘istigazione’ a compiere atti violenti per motivi di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.
Perché supporre ciò da una parte seppur autorevole del mondo cattolico? Se così fosse, comunque, saremmo dinanzi non a una libertà da tutelare, ma a un reato da perseguire.
* costituzionalista UniCal